fbevnts Teoria - tutti i libri per gli amanti del genere Teoria - Johan & Levi Editore | Pagina 2
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Teoria

Scienza delle immagini - Iconologia, cultura visuale ed estetica dei media
Se l’avvento del digitale e il rapido evolversi delle tecnologie hanno profondamente mutato le coordinate del visibile nonché il rapporto tra parola e immagine, tra esperienza e rappresentazione, nuove metodologie di ricerca si sono rese necessarie per indagare le ragioni della sempre più ampia produzione e circolazione delle immagini. Tra i padri fondatori di quel vasto campo di studi che si è affermato a livello internazionale con il nome di cultura visuale, W.J.T. Mitchell ha contribuito al grande rivolgimento di interesse teorico verso la “società dello spettacolo” e, coniando l’espressione pictorial turn, dagli anni novanta si è fatto promotore di un approccio filosofico che riconosce alle immagini lo stesso valore di interpretazione della realtà attribuito al linguaggio. Il lettore trova qui raccolti sedici fra i suoi più recenti saggi che spaziano dall’estetica dei media alla semiotica, in cui l’autore esamina la dimensione culturale delle immagini e i luoghi e i modi in cui esse si manifestano, attingendo nozioni e termini ormai entrati a pieno titolo nel vocabolario critico. Come la fortunata distinzione image/picture, dove con image si intende la rappresentazione mentale o la pura forma delle figure, ben distinta dalla picture attraverso cui si rivela, ovvero un oggetto materiale che si può bruciare, rompere o strappare, come un quadro o una scultura. Ricco di incursioni nella storia dell’arte, nel cinema e nella fotografia, ma anche nella politica e nella biocibernetica, questo volume pone le basi di una “scienza delle immagini” in cui il visuale diventa nesso imprescindibile tra ricerca umanistica e scienze empiriche.
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Scienza delle immagini

Iconologia, cultura visuale ed estetica dei media

W.J.T. Mitchell

pagine: 276 pagine

Se l’avvento del digitale e il rapido evolversi delle tecnologie hanno profondamente mutato le coordinate del visibile nonché il rapporto tra parola e immagine, tra esperienza e rappresentazione, nuove metodologie di ricerca si sono rese necessarie per indagare le ragioni della sempre più ampia produzione e circolazione delle immagini. Tra i pa
Avventure di un occhio
Come esistono nasi che, forti di un prodigioso fiuto, inventano i profumi, così esistono occhi in grado di rivelare la paternità di un dipinto. Se a un occhio esperto bastano pochi istanti per identificare l’autore di un’opera rimasta per secoli nell’ombra, è perché dopo lunghi anni di addestramento sa isolare dettagli che contano più di un’impronta digitale. L’intuito e le conoscenze acquisite, però, non sempre sono sufficienti a stanare un capolavoro: le scoperte più sensazionali avvengono spesso grazie a un evento del tutto fortuito.Capita per esempio che lo sguardo si posi su un Cristo in croce appeso nella galleria di un museo visitato per caso, e che proprio in quell’istante un raggio di sole ne illumini le unghie − riconoscibili fra mille per la levigata lucentezza− svelando un Bronzino a lungo ricercato e dato per disperso. Epiloghi come questo la dicono lunga su un’attività che assomiglia molto a quella del detective. Sulle tracce di quadri smarriti, il connoisseur si affida a una rete di  informatori e, indizio su indizio, fatica non poco prima di mettere insieme i pezzi del puzzle. Il suo sguardo non si lascia dirottare da restauri scellerati, da precedenti attribuzioni eccessivamente disinvolte e dal proliferare dei falsi, ma si immerge dentro la vita dei dipinti. Se vi vedesse soltanto delle immagini, se non fosse così sensibile da riuscire a entrarvi, non arriverebbe mai a capirli.Philippe Costamagna, appartenente a quello sparuto gruppo di iniziati chiamati ad autenticare tele anonime in ogni angolo del mondo, ci svela trucchi e insidie di una professione in perenne equilibrio fra le necessità del rigore scientifico e le gratificazioni offerte da mercanti e collezionisti spesso abbagliati da interessi personali. Un racconto che fonde memorie private, riflessioni sui ferri del mestiere, curiosità storiche e aneddoti succulenti sullevicende di alcuni illustri predecessori del calibro di Berenson, Longhi e Zeri: tre uomini e tre personaggi radicalmente diversi tra loro, nelle cui straordinarie fototeche si sono formate generazioni di studiosi e che hanno segnato, ciascuno con le proprie stravaganze, la misteriosa arte dell’attribuzionismo. 
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Avventure di un occhio

Philippe Costamagna

pagine: 192 pagine

Come esistono nasi che, forti di un prodigioso fiuto, inventano i profumi, così esistono occhi in grado di rivelare la paternità di un dipinto. Se a un occhio esperto bastano pochi istanti per identificare l’autore di un’opera rimasta per secoli nell’ombra, è perché dopo lunghi anni di addestramento sa isolare dettagli che contano
Una squisita indifferenza - Perché l'arte moderna è moderna
Un giorno del 1823, su un campo da calcio nel Nord dell’Inghilterra, un giocatore prese il pallone tra le braccia e, con squisita indifferenza per le regole del gioco, si mise a correre: aveva inventato il rugby. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti abbiano inventato l’arte moderna rifiutando tutte le norme della tradizione e liberandosi da quei vincoli che, come la prospettiva, formavano il linguaggio artistico comunemente accettato e capito. Ma non andò così: Degas, van Gogh, Rodin, Gauguin e Picasso non si limitarono a sottrarsi alle regole del gioco, ma proprio come l’inventore del rugby decisero di cogliere le possibilità che si nascondevano nell’arte tradizionale per creare un gioco nuovo con un nuovo sistema di regole. Kirk Varnedoe, con questo saggio brillante per scrittura e imprescindibile per ricchezza e profondità di analisi, ci offre una panoramica della nascita e degli sviluppi dell’arte moderna, elaborando un’interpretazione originale e sotto molti aspetti rivoluzionaria.Secondo lo studioso americano è semplicistico attribuire la nuova dimensione pittorica imboccata da Degas e van Gogh alle influenze della fotografia e della prospettiva piatta delle stampe giapponesi. Ed è altrettanto riduttivo interpretare il primitivismo di Gauguin e Picasso come un anelito romantico verso esotiche rappresentazioni di mondi lontani: la sua forza innovativa risulta invece dal libero confronto e scambio di forme che, sottratte ai loro contesti originari, danno vita a nuovi complessi di significati. L’analisi della frammentazione e serializzazione nelle sculture di Rodin si rivela una tappa fondamentale per far luce su come il percorso dell’arte astratta non riguardi soltanto una pura questione di forma. E l’improvvisa diffusione del punto di vista aereo nella pittura della Belle Époque e nelle avanguardie russe degli anni venti è uno degli strumenti che Varnedoe ci offre per capire non solo quanto sia dialettico il rapporto fra storia dell’arte e storia delle idee, ma perfino quale sia il legame che unisce le ballerine di Degas all’Espressionismo Astratto di Pollock e alle successive tendenze minimaliste.
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Una squisita indifferenza

Perché l'arte moderna è moderna

Kirk Varnedoe

pagine: 220 pagine

Un giorno del 1823, su un campo da calcio nel Nord dell’Inghilterra, un giocatore prese il pallone tra le braccia e, con squisita indifferenza per le regole del gioco, si mise a correre: aveva inventato il rugby. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti abbiano inventato l’arte moderna rifiutando tutte le norme della tradiz
L'arte non evolve - L'universo immobile di Gino De Dominicis
Priva di radici accertabili, sganciata dalla sequenzialità di un prima e un dopo, l’opera d’arte abbatte le barriere del tempo e ci proietta in uno spazio estraneo al progresso. Che l’arte non evolva, cioè non proceda per via di un lineare sviluppo temporale ma sia invece capace di introdurre novità di cui non c’era sentore in precedenza, è la tesi di questo saggio sulla poetica dell’immortalità in Gino De Dominicis. Un’indagine su un mistero – quello della creazione ex nihilo – e una meditazione sull’origine di tutte le cose.Guercio prende le mosse dal lavoro più emblematico e controverso dell’artista, la Seconda soluzione d’immortalità (l’universo è immobile), esposto nel 1972 alla Biennale di Venezia in una sala che è la summa delle riflessioni di De Dominicis e che viene subito chiusa al pubblico per lo scalpore che desta. Motivo dello scandalo e la presenza di un giovane veneziano affetto dalla sindrome di Down. Posto davanti a tre oggetti sul pavimento ‒ una pietra, una palla di gomma e il perimetro di un quadrato bianco ‒ Paolo Rosa non rappresenta una mera provocazione come pensano i più reazionari, ma è il fulcro attorno al quale si dispongono gli altri elementi, la chiave di tutto l’insieme. Grazie alle molteplici dinamiche che questa figura innesca, l’artista conferisce all’opera una facoltà senza precedenti: aprire una breccia nell’eternità.È possibile ricavare dalla Seconda soluzione di De Dominicis un paradigma di immortalità che funzioni oltre il sistema chiuso della sua opera? Possiamo cioè stabilire un legame fra la creazione artistica in senso più ampio e la ricerca dell’immortalità? Questo interrogativo, posto in apertura del saggio, fa presa sul lettore, trascinandolo in una ricognizione completa delle tematiche dell’artista e mettendo in luce quelle che possono avanzare una pretesa di contemporaneità sull’epoca presente, quali il primato dell’immagine sulla parola e la forza della discontinuità di fronte a una proliferazione virale di connessioni.
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L'arte non evolve

L'universo immobile di Gino De Dominicis

Gabriele Guercio

pagine: 128 pagine

Priva di radici accertabili, sganciata dalla sequenzialità di un prima e un dopo, l’opera d’arte abbatte le barriere del tempo e ci proietta in uno spazio estraneo al progresso. Che l’arte non evolva, cioè non proceda per via di un lineare sviluppo temporale ma sia invece capace di introdurre novità di cui non c’era sentore in precedenza
Atlante delle emozioni - in viaggio tra arte, architettura e cinema
Che cos’è la “geografia emozionale”? È questa la domanda a cui Giuliana Bruno risponde attraverso le pagine del suo Atlante delle emozioni, un sapiente e avvincente excursus che va dalla geografia all’arte, dall’architettura al design e alla moda, dalla cartografia al cinema, avventurandosi in un paesaggio vario e incantevole nel tentativo assolutamente originale di condensare in un’unica mappa la storia culturale delle arti visive e dello spazio. Vedere e viaggiare – sostiene l’autrice – sono inseparabili, e lo dimostra grazie a un montaggio evocativo di parole e immagini che trasformano il voyeur in voyageur, rivelando che non solo sight (vista) e site (luogo), ma anche motion (moto) ed emotion (emozione), sono irrevocabilmente connessi.Trasportandoci attraverso movimenti artistici, traiettorie storiche e memorie culturali, Bruno dischiude il mondo delle immagini emozionali. Nel farlo, ci parla del lavoro di artisti come Gerhard Richter, Annette Messager, Rachel Whiteread, Louise Bourgeois; di architetti come Daniel Libeskind e Jean Nouvel; dell’opera di numerosi cineasti tra cui Peter Greenaway e Roberto Rossellini, Chantal Akerman e Jean-Luc Godard,  Michelangelo Antonioni e Pier Paolo Pasolini, Wim Wenders e Wong Kar-wai; dell’architettura del cinema e dei suoi precursori: gabinetto delle curiosità, museo delle cere, teatro anatomico, lanterna magica, georama e panorama, design di giardini, vedutismo, le arti della memoria e della mappatura; e dei suoi stessi viaggi in Italia, il paese in cui è nata.L’affascinante e ardito viaggio visivo in cui Giuliana Bruno ci fa da guida propone a ogni svolta viste e interpretazioni inedite. Atlante delle emozioni è una mappa affettiva che ci mette in contatto con i paesaggi mentali e i mondi interiori di quella che l’autrice ha battezzato “geografia emozionale”, una pregnante categoria interpretativa ripresa dagli studiosi di tutto il mondo.
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Atlante delle emozioni

in viaggio tra arte, architettura e cinema

Giuliana Bruno

pagine: 592 pagine

Che cos’è la “geografia emozionale”? È questa la domanda a cui Giuliana Bruno risponde attraverso le pagine del suo Atlante delle emozioni, un sapiente e avvincente excursus che va dalla geografia all’arte, dall’architettura al design e alla moda, dalla cartografia al cinema, avventurandosi in un paesaggio vario e incantevole nel tentat
Che cos'è l'arte
Che cos’è l’arte? È questo l’eterno interrogativo sul quale il filosofo e critico Arthur C. Danto ritorna in un saggio che è insieme dissertazione filosofica e riflessione autobiografica. Prendendo le distanze da chi vorrebbe ridurre l’arte a ciò che è considerato tale in un contesto istituzionale o da chi addirittura la ritiene indefinibile, l’autore individua alcune caratteristiche che le restituiscono contorni netti: l’arte ha una sua permanenza ontologica nelle forme pur variabili in cui si manifesta. A determinare un’opera d’arte è la capacità di dare corpo a un’idea, di esprimerla per mezzo di un “fare artistico” che traduce il pensiero in materia nel modo più efficace, travalicando le contingenze. Ma ciò non basta. Essa deve incarnare qualcosa di impalpabile, che la accomuni a un sogno a occhi aperti e che conduca il fruitore a uno stato emotivo e sensoriale nuovo. Danto approda così a conclusioni lontane dal relativismo che per decenni gli è stato attribuito: per capire l’arte non ci vuole un concetto aperto, ma una mente aperta. Nel guidare il lettore tra i grandi nomi del pensiero filosofico e dell’arte di ogni epoca (in particolare Michelangelo, Poussin, Duchamp e Warhol), l’autore traccia un ambizioso percorso che dalle teorie platonica e kantiana prosegue analizzando le innovazioni ‒ prospettiva, chiaroscuro, fisiognomica e nascita della fotografia ‒ che hanno segnato il progresso dell’arte occidentale, fino al suo apparente esaurimento con l’avvento delle poetiche concettuali e la scomparsa dell’estetica come valore.Che cos’è l’arte riassume riflessioni decennali, ricavandone nuovi affascinanti sviluppi, e rappresenta così una via d’accesso ideale al sistema filosofico del maggior critico americano nell’ambito delle arti visive.
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Che cos'è l'arte

Arthur C. Danto

pagine: 126 pagine

Che cos’è l’arte? È questo l’eterno interrogativo sul quale il filosofo e critico Arthur C. Danto ritorna in un saggio che è insieme dissertazione filosofica e riflessione autobiografica. Prendendo le distanze da chi vorrebbe ridurre l’arte a ciò che è considerato tale in un contesto istituzionale o da chi addirittura la ritiene indefi
Cinema & Experience - Le teorie di Kracauer, Benjamin e Adorno
A partire dagli anni novanta i cosiddetti cinema studies hanno subito una tale proliferazione da diventare una vera e propria disciplina accademica. Attualmente, però, il loro oggetto d’indagine sembra dissolversi sempre di più in un flusso di mutevole, globale e globalizzante, cultura dell’immagine: audiovisiva, elettronica, digitale e web.Miriam Bratu Hansen ricomincia dal principio, ovvero dalla perspicace critica della modernità operata da tre pilastri dell’estetica del Novecento – Kracauer, Benjamin e Adorno – incentrata proprio su questo media: non su ciò che il cinema è, ma su quello che fa, ovvero la particolare esperienza sensoriale e mimetica che esso rende possibile negli spettatori. A cominciare, per esempio, dai cartoni animati di Mickey Mouse, così popolari, diceva Benjamin, per il «semplice fatto che il pubblico riconosce in essi la propria vita». Non un’ontologia del cinema, dunque, ma un tentativo di comprensione, sebbene con prospettive e modalità differenti, del suo ruolo all’interno della modernità in evoluzione. I film, infatti, contribuiscono in maniera sostanziale alla riconfigurazione dell’esperienza intesa nel suo senso più pieno di Erfahrung, ovvero come vita quotidiana, rapporti sociali e lavorativi, economia e politica.Nonostante il competitivo ambiente mediatico in cui è inserito, il cinema è comunque sopravvissuto, si è adattato e trasformato. La recente apertura della frontiera del digitale e il necessario ripensamento di dispositivi e categorie filmiche fondamentali come il movimento e l’animazione lanciano una nuova sfida, che però non è una minaccia: dopo aver fatto «saltare con la dinamite dei decimi di secondo questo mondo simile a un carcere», il cinema potrebbe riaprire capitoli dell’estetica apparentemente chiusi e riattualizzarli.
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Cinema & Experience

Le teorie di Kracauer, Benjamin e Adorno

Miriam Bratu Hansen

pagine: 416 pagine

A partire dagli anni novanta i cosiddetti cinema studies hanno subito una tale proliferazione da diventare una vera e propria disciplina accademica. Attualmente, però, il loro oggetto d’indagine sembra dissolversi sempre di più in un flusso di mutevole, globale e globalizzante, cultura dell’immagine: audiovisiva, elettronica, digitale e web.M
Inside the White Cube - L'ideologia dello spazio espositivo
C’era una volta il quadro da cavalletto, con una massiccia cornice e un sistema prospettico completo in cui era incassata un’illusione di realtà. Poi, all’orizzonte, spuntano i paesaggi impressionisti e iniziano a dare istruzioni all’osservatore: dove deve stare, qual è la distanza giusta da cui guardare, che atteggiamento assumere. Ma non è finita qui. Le enormi tele degli espressionisti astratti, cariche di tensione vitale, si espandono ancora di più lateralmente e arrivano a sfondare il margine. La cornice, ormai una parentesi, si dissolve liberando l’illusione e come per magia la sua funzione si trasferisce allo spazio espositivo. I tempi sono maturi perché Marcel Duchamp, nel 1938, appenda al soffitto della Galerie Beaux-Arts 1200 sacchi di carbone e i visitatori si ritrovano a testa in giù. Per la prima volta lo spazio espositivo viene trattato come una scatola, una vetrina da manipolare. Con un unico affondo il gesto di Duchamp «sbaraglia il toro della storia dell’arte»: gli anni passano e, come in una camera d’eco, esso apparirà sempre più riuscito.Il white cube inizia a divorare l’oggetto, il contesto ruba la scena all’opera esposta e diventa una “camera di trasformazione” che rende arte qualunque cosa vi entri. La galleria può anche restare vuota, riempirsi d’immondizia, rimanere chiusa per tutta la mostra, simulare uno spazio della vita reale, essere impacchettata insieme all’intero edificio del museo con incerata e corda, ospitare tableaux vivants o happenings scioccanti. Quelle stesse scene, fuori dal white cube, probabilmente non desterebbero la minima attenzione, ma al suo interno anche la nostra quotidianità – il bar, la camera da letto, la stazione di servizio – diventa arte, un’esperienza che va oltre il guardare.Come a bordo di un’astronave, scrutando la Terra che si allontana all’orizzonte, Brian O’Doherty ricostruisce una storia dell’arte del Novecento dalla prospettiva dell’evoluzione dello spazio espositivo, da considerare ormai «l’arena incontestata del discorso».
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Inside the White Cube

L'ideologia dello spazio espositivo

Brian O'Doherty

pagine: 146 pagine

C’era una volta il quadro da cavalletto, con una massiccia cornice e un sistema prospettico completo in cui era incassata un’illusione di realtà. Poi, all’orizzonte, spuntano i paesaggi impressionisti e iniziano a dare istruzioni all’osservatore: dove deve stare, qual è la distanza giusta da cui guardare, che atteggiamento assumere. Ma no
Americani per sempre - I pittori di un mondo nuovo: Parigi 1867 - New York 1948
Parigi, 1° luglio 1867, inaugurazione dell’Esposizione Universale: la Guerra di Secessione è finita, i paesaggisti statunitensi, esponenti della prima autentica scuola americana, ritornano in Europa convinti di meritare elogi, premi, medaglie. Ma anziché un trionfo li aspetta una cocente sconfitta: la critica francese distrugge il loro sogno di successo stroncando con frecciate sarcastiche e commenti crudeli le grandi tele gremite di cascate maestose, alberi secolari, orizzonti smisurati, insomma tutto quanto ha di meglio da offrire una nazione che smania di affermarsi nel settore artistico come sta facendo in campo economico. L’esposizione americana, dicono i francesi, «è indegna dei figli di Washington […] giovane e grezza, in mezzo alle nostre vecchie culture fa l’effetto di un gigante sperduto in una sala da ballo».L’inattesa umiliazione sfocia anzitutto su un esame di coscienza: perché la patria di Melville e Poe è incapace di generare pittori di forza espressiva pari a quella dei suoi maggiori scrittori? Che cosa devono fare i pittori di una giovane nazione per farsi rispettare dai paesi del vecchio mondo? È possibile colmare il divario abissale che li separa dall’arte europea? Per il momento non hanno scelta: sono costretti a piegarsi al gusto dei francesi, sono loro gli arbitri indiscussi della pittura mondiale. In realtà l’insuccesso parigino del 1867 diventa lo stimolo che condurrà i “figli di Washington” a trasformare in sfida lo scacco patito. A centinaia i pittori americani partono per la Francia, si stabiliscono a Parigi, dove frequentano i corsi di maestri del calibro di Gérôme e Cabanel; poi fondano nuove “colonie” di artisti, come quella di Pont-Aven, in Bretagna, diventata leggendaria. L’affermazione dei più grandi – Whistler, Sargent, la Cassatt – aprirà la strada del successo a una selva di pittori che, nell’arco di due generazioni, sostenuti in patria dalle impressionanti risorse di mecenati e filantropi e da straordinarie strutture espositive (prima fra tutte il MoMA di New York), riusciranno a eclissare Parigi, facendo dell’America la nuova terra d’elezione dell’arte, il centro pulsante della pittura mondiale che attirerà a sé anche notissimi artisti francesi.L’epopea dei pittori americani raccontata da Cohen-Solal spazia da Parigi a New York, da Giverny a Chicago, da Pont-Aven a Taos, per approdare alla Biennale di Venezia del 1948, dove vengono esposte per la prima volta in Europa otto tele di un artista ignoto ai più, Jackson Pollock, che di lì a poco verrà celebrato nel mondo intero come primo e assoluto maestro della pittura americana.
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Americani per sempre

I pittori di un mondo nuovo: Parigi 1867 - New York 1948

Annie Cohen-Solal

pagine: 500 pagine

Parigi, 1° luglio 1867, inaugurazione dell’Esposizione Universale: la Guerra di Secessione è finita, i paesaggisti statunitensi, esponenti della prima autentica scuola americana, ritornano in Europa convinti di meritare elogi, premi, medaglie. Ma anziché un trionfo li aspetta una cocente sconfitta: la critica francese distrugge il loro sogno d
Arte Concettuale e strategie pubblicitarie
L’Arte Concettuale è stato uno dei movimenti artistici più importanti della seconda metà del xx secolo. Ripartendo dalle sue origini negli anni sessanta e dai princìpi enunciati da Dan Graham, Joseph Kosuth, Sol LeWitt e Lawrence Weiner, Alberro ne ripercorre la parabola specificatamente newyorkese attraverso le vicende del suo protagonista indiscusso, Seth Siegelaub. Gallerista sui generis eccentrico e poliedrico, Siegelaub sostenne gli artisti che sembravano «creare opere dal nulla» con metodi di promozione assolutamente eterodossi, li sponsorizzò attraverso un business oculato e diplomatico e preparò l’entrata in scena nel mondo dell’arte di un nuovo tipo di attore: il curatore freelance.Alexander Alberro offre un’inedita carrellata dei materiali e delle recensioni relative alle opere più importanti, inserendo l’Arte Concettuale nel contesto sociale della ribellione alle istituzioni culturali tradizionali, della commercializzazione e degli albori del mondo globalizzato. Dalla sua scrupolosa ricostruzione, però, emerge una nuova prospettiva: questo movimento in realtà non intendeva affatto rifiutare il mercato, ma conquistarlo rivoluzionandolo. In questa ottica Siegelaub fondò, per esempio, la Image Art Programs for Industry Inc., una società che grazie all’arte contemporanea conferiva un valore aggiunto alle aziende in cerca di visibilità sociale, e redasse l’Artist’s Reserved Rights Transfer and Sales Agreement, un nuovo tipo di contratto con cui si cercava di limitare lo strapotere di collezionisti, gallerie e musei a favore di un incremento dei diritti dell’artista e che involontariamente finì per sancire la sovrapposizione tra arte e capitalismo.
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Arte Concettuale e strategie pubblicitarie

Alexander Alberro

pagine: 216 pagine

L’Arte Concettuale è stato uno dei movimenti artistici più importanti della seconda metà del xx secolo. Ripartendo dalle sue origini negli anni sessanta e dai princìpi enunciati da Dan Graham, Joseph Kosuth, Sol LeWitt e Lawrence Weiner, Alberro ne ripercorre la parabola specificatamente newyorkese attraverso le vicende del suo protagonista i

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