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Catalogo

Novità Diego, l'altro Giacometti
Infaticabile assistente e paziente modello, Diego Giacometti ha condiviso con il fratello Alberto quarant’anni di vita e di lavoro, in un rapporto simbiotico tra i più intensi della storia dell’arte moderna.Il suo è un percorso creativo a cavallo tra scultura e design, con un approccio molto personale all’arte della decorazione: i mobili e gli oggetti da lui realizzati rincorrono un’eleganza asciutta e severa, impreziosita da sottili riferimenti a civiltà di altre epoche, a partire da quella etrusca, ed esaltata dalla predilezione per il bronzo. L’istintiva simpatia per gli animali lo porta a ritrarli spesso, anche nei mobili: la loro presenza non ha solamente una funzione ornamentale, ma trasforma la struttura stessa dell’oggetto animandone i volumi interni che, come le linee essenziali di un paesaggio, diventano ancora più leggeri e ariosi. Sono ideali che Diego condivide con il celebre arredatore d’interni Jean-Michel Frank, con cui collaborò in più occasioni.Oltre alle numerose committenze dei privati, Diego è sollecitato anche dalle istituzioni pubbliche, dal Musée national Marc Chagall fino alla commissione più prestigiosa: la proposta di realizzare, ormai ottantenne, la decorazione per il nuovo Musée Picasso di Parigi, sua consacrazione postuma, e definitiva, come artista.In questo catalogo, pubblicato in occasione della prima mostra italiana su Diego Giacometti presso la Fondazione Luigi Rovati, il curatore Casimiro Di Crescenzo ne traccia il profilo biografico, fa luce su molti aspetti della vita dei fratelli Giacometti a Parigi, puntualizza alcuni fatti e scopre novità interessanti, ricorrendo anche alla corrispondenza con i familiari. I quattro testi che introducono le sezioni delle opere descrivono i nuclei tematici della produzione di Diego (scultura, mobili e oggetti, raffigurazioni di animali), oltre che il già citato ruolo come modello di altri, del padre ma soprattutto di Alberto.Il catalogo è arricchito da testi di Roger Montandon, Eberhard W. Kornfeld, Henri Cartier-Bresson.
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Diego, l'altro Giacometti

pagine: 224 pagine

Infaticabile assistente e paziente modello, Diego Giacometti ha condiviso con il fratello Alberto quarant’anni di vita e di lavoro, in un rapporto simbiotico tra i più intensi della storia dell’arte moderna.Il suo è un percorso creativo a cavallo tra scultura e design, con un approccio molto personale all’arte della decorazione: i mobili e

Autobiografia

Gian Francesco Gamurrini

pagine: 128 pagine

Scritta all’età di 86 anni, l’Autobiografia di Gian Francesco Gamurrini ripercorre momenti salienti di un’intera vita dedicata all’archeologia e alla difesa del patrimonio culturale del territorio aretino dalle razzie di speculatori e mercanti d’arte, soprattutto in seguito alla soppressione degli enti ecclesiastici. Una minaccia da evit
Novità La stele di Kaminia, gli Etruschi e l'isola di Lemno
La stele di Kaminia, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Atene è una delle tre iscrizioni, tra le più illustri dell’antichità, che hanno guidato generazioni di italiani nell’Ellade alla ricerca del passato. Creata nel VI secolo a.C. come segnacolo di una tomba, e recuperata tra il 1883 e il 1885 nell’isola di Lemno, era originariamente alta un paio di metri ma oggi rimane solo la metà superiore, con il profilo di un uomo che impugna lancia e scudo e che si era distinto nella società per le sue virtù di combattente. Intorno alla figura e sul lato destro della pietra furono incise duecento lettere dell’alfabeto greco: in tutto trentatré parole su undici righe scritte in direzione alternata, dall’alto in basso e di seguito dal basso in alto, oppure da destra a sinistra e poi viceversa. Ma la lingua scritta in greco non è greca né indoeuropea e appartiene alla stessa famiglia dell’etrusco e del retico, che si parlava e scriveva in una zona ai confini tra Austria, Svizzera e Germania. Gli archeologi, gli storici e i linguisti che si occupano della stele di Kaminia e del suo contesto sono alle prese con una questione ancora irrisolta. Ci si chiede infatti se gli abitanti di Lemno, testimoniati dalla stele e dalle altre iscrizioni, siano della stessa stirpe degli Etruschi migrati dall’Anatolia, con un gruppo stanziato a Lemno e un altro arrivato in Etruria, oppure se si tratti di Etruschi giunti a Lemno dall’Italia, per fondare una colonia o una stazione commerciale e di pirati nell’Egeo. Non è facile sapere cosa sia successo. La comunità che scriveva sulla pietra e sulla terracotta nella lingua lemnia non si distingue da altri eventuali gruppi sociali ed etnici dell’isola, con i quali poteva condividere la stessa cultura materiale e figurativa, tecnologie, riti religiosi e funerari, modi di vivere. Se i Tirreni di Lemno sono venuti dall’Etruria, non hanno mantenuto molti contatti con la madrepatria a giudicare dalla completa assenza di oggetti fabbricati in Italia. Per l’ipotesi della migrazione dall’Anatolia siamo completamente all’oscuro del luogo di provenienza, della cultura e delle tradizioni di origine. «La verità nessun la vide, non c’è che l’opinione» (Simonide di Ceo).La storia della stele, e del popolo di cui era espressione, è narrata in questo libro e nella mostra ora in corso presso Fondazione Luigi Rovati fino al prossimo 18 luglio 2023, promossa in collaborazione con la Scuola Archeologica Italiana di Atene, che a Lemno conduce scavi e ricerche da cento anni. Il volume presenta quattro testi, oltre all’introduzione di Emanuele Papi, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, firmati da Carlo De Domenico, Riccardo Di Cesare, Germano Sarcone e ancora Emanuele Papi.
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La stele di Kaminia, gli Etruschi e l'isola di Lemno

Emanuele Papi, Carlo De Domenico, Riccardo Di Cesare, Germano Sarcone

pagine: 120 pagine

La stele di Kaminia, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Atene è una delle tre iscrizioni, tra le più illustri dell’antichità, che hanno guidato generazioni di italiani nell’Ellade alla ricerca del passato. Creata nel VI secolo a.C. come segnacolo di una tomba, e recuperata tra il 1883 e il 1885 nell’isola di Lemno, era originari
L'archivio d'artista - Princìpi, regole e buone pratiche
È disponibile in una nuova edizione aggiornata e integrata in base alla riformata disciplina penale dei reati contro il Patrimonio Culturale entrata in vigore a marzo 2022.Legata al concetto di memoria, l’archiviazione risponde da sempre al bisogno di raccogliere e tutelare una testimonianza tramite i documenti che la attestano. Per un artista, l’archivio è essenziale non solo per conservare la traccia materiale del suo passaggio in un determinato ambiente culturale ma anche per la verifica, la difesa e la certificazione dell’autenticità delle opere, nonché per rendere tale patrimonio accessibile e condiviso. Ma che cosa si intende per archivio d’artista e come viene strutturato? Quali normative legali e quali consuetudini si applicano? Come si organizza una successione e come prende forma un catalogo ragionato? Quali competenze coinvolge e quali requisiti lo rendono un punto di riferimento per gli studiosi e per il mercato? Questo volume – nato a partire dal Corso per curatore di archivio d’artista promosso da AitArt (Associazione Italiana Archivi d’Artista) – riunisce punti di vista e competenze diverse spaziando dalle materie umanistico-storiche a quelle economico-giuridiche, senza dimenticare gli aspetti più pratici legati alla schedatura e alla digitalizzazione. Nel suo duplice intento di diffondere princìpi ispiratori e proporre modalità di gestione, delinea una vera e propria deontologia professionale e si configura così come un vademecum imprescindibile per chiunque voglia sviluppare una professionalità specifica e farsi custode di un ecosistema complesso e prezioso come quello dell’archivio d’artista.
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L'archivio d'artista

Princìpi, regole e buone pratiche

pagine: 472 pagine

È disponibile in una nuova edizione aggiornata e integrata in base alla riformata disciplina penale dei reati contro il Patrimonio Culturale entrata in vigore a marzo 2022.Legata al concetto di memoria, l’archiviazione risponde da sempre al bisogno di raccogliere e tutelare una testimonianza tramite i documenti che la attestano. Per un artista,

Fondazione Luigi Rovati

Museo d'arte

Autori vari

pagine: 136 pagine

Con testi di Lucio Rovati, Giovanna Forlanelli, Salvatore Settis, Mario Abis, Mario Cucinella, Giulio Paolucci e Martina Corgnati. Il racconto della genesi e dei principi operativi di Fondazione Luigi Rovati, un’infrastruttura materiale e immateriale della società della conoscenza, e del Museo d'arte ospitato nella sede di corso Venezia 52 a Mil
Giulio Paolini. Era finora
Giulio Paolini ha fatto della sua produzione una riflessione metafisica sul processo della creazione artistica. Paolini, infatti, ritiene che l’opera in qualche modo pre-esista all’intervento dell’artista, che è semplicemente il primo a poterla contemplare.Questa pubblicazione è dedicata all’opera site-specific realizzata da Paolini per il Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati ed è parte di una nuova serie di monografie su importanti artisti contemporanei che hanno collaborato con la Fondazione. Intitolata Era finora, l’opera di Paolini si compone dei profili in gesso di due teste, una femminile e l’altra maschile, a evocare rispettivamente il classico e il neoclassico, l’origine del canone occidentale dell’arte e la sua ripresa agli albori dell’età contemporanea. Inquadrati entro una teca, i volti sembrano misurare il perimetro di uno spazio, o marcare un percorso, come pietre miliari. Il loro sguardo dà luogo a un tracciato prospettico scandito da riproduzioni fotografiche sovrimposte: una specie di “galleria di ritratti”, un continuum di immagini che scandiscono la storia dell’uomo e dell’arte, muovendosi tra passato e presente, come testimoni di tempi e spazi lontani ma compresenti nel qui e ora della fruizione dell’opera. La storia dell’arte è un riferimento naturale per Paolini, per il quale non sussiste differenza tra arte antica e arte contemporanea. Tutta l’arte, in quanto investigazione della visione come atto mentale verso il mondo, si equivale. Il tempo dell’arte è quello dell’opera, non del suo autore: trascorsa la vita degli artefici, etruschi, greci o rinascimentali che siano, rimane il presente indefinito dell’opera.
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Giulio Paolini. Era finora

Francesco Guzzetti

pagine: 82 pagine

Giulio Paolini ha fatto della sua produzione una riflessione metafisica sul processo della creazione artistica. Paolini, infatti, ritiene che l’opera in qualche modo pre-esista all’intervento dell’artista, che è semplicemente il primo a poterla contemplare.Questa pubblicazione è dedicata all’opera site-specific realizzata da Paolini per i
Francesco Simeti. Alla corte della civetta
Francesco Simeti è autore di un universo visivo che mediante la commistione di elementi naturalistici e surreali – dalla botanica alle miniature medievali – conduce un’analisi sullo sviluppo della storia naturale, mostrandone la relazione con la storia sociale umana. Questa pubblicazione è dedicata all’intervento site-specific realizzato da Simeti per il Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati ed è parte di una nuova serie di monografie su importanti artisti contemporanei che hanno collaborato con la Fondazione. Composto da due arazzi (Alla corte della civetta ed Elleboro) e da una serie di elementi decorativi in ceramica (Phantázō), il lavoro di Simeti opera su molteplici piani tra storia e finzione, reinventando l’antico in modi e forme personali. Ispirati ai bestiari medievali, gli arazzi riproducono un groviglio di creature dall’identità ibrida e metamorfica, come civette, salamandre, mostri marini, unicorni, felini, rinoceronti, fra cui si muovono, irriconoscibili, figure umane dotate di maschere antigas, elmetti e respiratori: sono la rappresentazione visiva di un rapporto traumatico tra noi e il mondo naturale. In conversazione con Luigi Fassi, Simeti racconta gli ingredienti che hanno dato avvio al percorso creativo: le boiserie e gli stucchi del palazzo (sede del Museo d’arte), distribuiti in una fuga di stanze da anni disabitate; le fotodocumentazioni di alcuni arazzi settecenteschi dispersi, a tema chinoiserie; una collezione di preziosi buccheri etruschi in ceramica nera. Un insieme di secoli e stili, rivisitati e rinnovati, in cui antico, moderno e contemporaneo si compenetrano tra loro mimeticamente.
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Francesco Simeti. Alla corte della civetta

Luigi Fassi, Francesco Simeti

pagine: 88 pagine

Francesco Simeti è autore di un universo visivo che mediante la commistione di elementi naturalistici e surreali – dalla botanica alle miniature medievali – conduce un’analisi sullo sviluppo della storia naturale, mostrandone la relazione con la storia sociale umana. Questa pubblicazione è dedicata all’intervento site-specific realizzato

Storia degli antichi vasi fittili aretini

Marco Antonio Fabroni

pagine: 112 pagine

L’area di Arezzo ha attirato sin dal Medioevo l’attenzione di collezionisti e studiosi di antichità per via dei sottili e lucenti vasi fittili, che affioravano dal terreno con frequenza e in quantità. Si trattava di vasi dal rivestimento di colore corallino, spesso decorati a rilievo con motivi vegetali e scene figurate che suscitavano curios
Il lampadario di Cortona - Dal collezionismo delle origini alle raccolte contemporanee
Tra i capolavori etruschi più noti, un posto da protagonista spetta al lampadario conservato al Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona. Con un peso di oltre mezzo quintale, è considerato uno dei più pregevoli esempi di bronzistica antica, unico esemplare di lampadario etrusco ritrovato integro, entrato a far parte delle collezioni museali a seguito di un ritrovamento fortuito e di una complessa trattativa di acquisto. Oggi gli esperti sembrano concordi nel ritenere che la monumentale lucerna a sedici beccucci sia stata prodotta in un’officina dell’Etruria interna centro-settentrionale, tra Arezzo e Orvieto: una zona che nel IV sec. a.C. era ben attrezzata per produzioni di questo tipo e dalla quale provengono altri grandi bronzi.La complessità dell’iconografia, la straordinaria qualità della tecnica fusoria e il pregio del materiale portano a escludere la collocazione privata di un manufatto di tale valore: l’ipotesi più plausibile è che fosse destinato a un santuario pubblico, dove avrebbe potuto svolgere con continuità ed efficacia la sua funzione. Il volume include alcuni saggi sul tema dell’illuminazione nel mondo etrusco, sulla storia antiquaria, sulla realizzazione e l’analisi dell’apparato decorativo, a cui si aggiungono una selezione di lettere e documenti tratti da Nuove letture del lampadario etrusco (1988) e un nuovo saggio introduttivo di Paolo Bruschetti e Giulio Paolucci, scritto in occasione dell’esposizione presso il Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati.
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Il lampadario di Cortona

Dal collezionismo delle origini alle raccolte contemporanee

pagine: 112 pagine

Tra i capolavori etruschi più noti, un posto da protagonista spetta al lampadario conservato al Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona. Con un peso di oltre mezzo quintale, è considerato uno dei più pregevoli esempi di bronzistica antica, unico esemplare di lampadario etrusco ritrovato integro, entrato a far parte delle collezioni museali a s
Restituzione - Il ritorno a casa dei tesori trafugati
Il tema dei beni culturali sottratti illecitamente ai loro contesti originari anima da decenni il dibattito globale. E ha acquistato nuovo slancio da quando l’opinione pubblica ha puntato i riflettori su prestigiose collezioni occidentali in cui sono custoditi tesori provenienti da paesi che oggi ne rivendicano la proprietà. Alexander Herman ci offre una panoramica ampia e aggiornata dei casi più controversi, come la querelle intorno ai marmi del Partenone o il parziale rimpatrio dei bronzi del Benin, passando per gli oggetti trafugati dal Palazzo d’Estate di Pechino e i dipinti requisiti dai nazisti.Quella della restituzione, però, è una faccenda più complessa di quel che appare, non solo perché obbliga a fare i conti con i soprusi degli antenati, ma anche perché applicare un’idea contemporanea di giustizia a istanze del passato può avere un costo imprevisto. Se oggi risulta inaccettabile che i simboli di un culto religioso strappati alle comunità indigene facciano bella mostra di sé nei musei dei “predatori”, in molti casi si tratta di manufatti entrati a far parte di quelle collezioni da secoli; alcuni hanno assunto un enorme valore culturale e perfino finanziario per le istituzioni che li ospitano, le quali potrebbero non essere disposte a rinunciarvi. Nell’indagare in che modo sia possibile negoziare le riconsegne, questo saggio si interroga anche sul paradigma stesso in cui siamo entrati: l’assillo di fare ammenda delle ingiustizie del passato potrebbe avere un impatto irreversibile sul settore culturale per gli anni a venire.
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Restituzione

Il ritorno a casa dei tesori trafugati

Alexander Herman

pagine: 120 pagine

Il tema dei beni culturali sottratti illecitamente ai loro contesti originari anima da decenni il dibattito globale. E ha acquistato nuovo slancio da quando l’opinione pubblica ha puntato i riflettori su prestigiose collezioni occidentali in cui sono custoditi tesori provenienti da paesi che oggi ne rivendicano la proprietà. Alexander Herman ci

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