fbevnts Saggi d'arte - tutti i libri della collana Saggi d'arte, Johan & Levi - Johan & Levi Editore
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Johan & Levi: Saggi d'arte

Il design come attitudine
«Non è una professione ma un’attitudine», diceva László Moholy-Nagy, che nel primo Novecento lottò per liberare il design dalla morsa del commercio in cui era stretto dai tempi della Rivoluzione industriale, restituendogli il compito di costruire un mondo migliore. In tutte le sue molteplici forme, il design svolge da sempre un ruolo importante come agente di cambiamento, facendosi interprete di istanze sociali, politiche, economiche, scientifiche, culturali ed ecologiche per garantire un impatto positivo sulle nostre vite.Alice Rawsthorn, una delle più influenti voci in questo campo, racconta come nuove generazioni di designer rispondono a sfide globali quali l’emergenza climatica, l’aumento delle disuguaglianze, le crisi umanitarie e le discriminazioni di genere, mostrando la stessa attitudine “all’intraprendenza e alla creatività” di cui scriveva Moholy-Nagy e portando avanti ambiziosi progetti sociali, servendosi di tecnologie all’avanguardia per realizzare prodotti nuovi o recuperare e rimettere in circolo i vecchi, secondo una tendenza in costante crescita.Con un occhio rivolto alle figure storiche, ai pionieri di un design attento ai bisogni dell’individuo e della società, l’autrice traccia l’evoluzione e i più recenti sviluppi di questa disciplina anche in rapporto all’arte e all’artigianato, da cui la separano confini sempre più porosi, e a settori come la medicina o la sociologia, a cui ora offre un prezioso contributo. Una priorità per i designer attitudinali consiste, infatti, nell’essere più aperti alla collaborazione con una varietà di specialisti, nell’ottica di costruire una comunità diversificata e inclusiva per fare fronte comune contro le tante difficoltà del nostro tempo.
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Il design come attitudine

Alice Rawsthorn

pagine: 216 pagine

«Non è una professione ma un’attitudine», diceva László Moholy-Nagy, che nel primo Novecento lottò per liberare il design dalla morsa del commercio in cui era stretto dai tempi della Rivoluzione industriale, restituendogli il compito di costruire un mondo migliore. In tutte le sue molteplici forme, il design svolge da sempre un ruolo import
L'avventura del modernismo - Antologia critica
Questo volume offre la più ampia raccolta italiana di scritti di Clement Greenberg (1909-1994), autore indispensabile per chiunque si interessi all’epoca carica di rivoluzioni formali che dalla fine dell’Ottocento in poi vede il rapido succedersi delle avanguardie artistiche.Figura fra le più influenti e controverse della critica d’arte americana del Novecento, Greenberg assiste al declino dell’illusionismo tridimensionale della pittura da cavalletto e testimonia il progressivo affermarsi dell’astrattismo, fino al traguardo della piattezza radicale che è per lui cifra del modernismo. Tra i primi a intuire il valore dirompente della pittura di Jackson Pollock e degli espressionisti astratti americani, egli sdogana successivamente gli esponenti della Post-painterly Abstraction, tra cui Morris Louis e Kenneth Noland. Con un corpus di oltre trecento scritti, il magistero critico militante di Greenberg attraversa più di quarant’anni di nuova arte americana, contribuendo in modo decisivo a spostare il baricentro dell’arte mondiale da Parigi a New York.La selezione dei testi qui proposti è volta a sottolineare l’impronta europea del pensiero critico di Greenberg. La matrice kantiana, quella trotskista, ma anche quella italiana proveniente da Benedetto Croce e Lionello Venturi, delineano il profilo di un critico che ha saputo scandagliare in modo esemplare le vicende del modernismo nelle arti visive rivendicandone i valori di oggettività. A un’acuta analisi socio-culturale del fenomeno della massificazione della cultura e delle sue conseguenze sociali, Greenberg accosta questioni a lungo dibattute come quelle del bello e della qualità, dei valori oggettivi in arte, mosso dal bisogno impellente di opporre un fronte di resistenza al degrado del kitsch e dell’accademismo.Tuttora oggetto di diatribe e indiscusso promotore dell’arte americana, Greenberg rimane un interprete di primo piano del modernismo. A più di quindici anni dalla morte, il suo lascito è imprescindibile per orientarsi nel complesso panorama artistico della seconda metà del XX secolo.
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L'avventura del modernismo

Antologia critica

Clement Greenberg

pagine: 448 pagine

Questo volume offre la più ampia raccolta italiana di scritti di Clement Greenberg (1909-1994), autore indispensabile per chiunque si interessi all’epoca carica di rivoluzioni formali che dalla fine dell’Ottocento in poi vede il rapido succedersi delle avanguardie artistiche.Figura fra le più influenti e controverse della critica d’arte ame
Scritti
Lucido protagonista della “nuova topografia” americana degli anni settanta, artista costantemente  impegnato a decostruire la politica dei luoghi e delle rappresentazioni, sin dai suoi esordi Lewis Baltz ha accompagnato alla ricerca visiva una meditata attività di scrittura critica e autocritica. Le riflessioni raccolte in questo volume illuminano da prospettive differenti la sua opera ultraquarantennale e il contesto transatlantico nel quale si è sviluppata: interventi che hanno affiancato le opere topografiche del primo periodo, narrazioni incorporate nei lavori testo-immagine della fine degli anni ottanta, ma anche una corposa serie di saggi dedicati ad alcuni tra i più importanti fotografi e artisti del Novecento. In questi ultimi l’ascolto dell’enigmatica materialità delle opere si fonde con un ragionare secco e disincantato sulla loro adeguatezza culturale e, infine, politica. Rientrano in tale filone gli scritti dedicati a Walker Evans, Edward Weston, Robert Adams, Michael Schmidt, Allan Sekula, Thomas Ruff e Jeff Wall, che in modi diversi interrogano le possibilità e i limiti delle pratiche fotografiche di stampo modernista; in alcuni passi affiorano inoltre circostanziati apprezzamenti di artisti come Krzysztof Wodiczko, Félix González-Torres, Barry Le Va, Chris Burden, James Turrell, Robert Irwin, John McLaughlin e Alessandro Laita, con i quali Baltz ha condiviso aspetti cruciali della ricerca e, in diversi casi, della propria biografia. ll volume, tuttavia, contiene anche considerazioni su temi di portata più generale, per esempio sul paesaggio o sulle città «nell’epoca del nulla di speciale». Se il gelido silenzio dell’immaginario post-apocalittico di Baltz ha contribuito a depurare la fotografia degli ultimi trent’anni dalle opposte retoriche della denuncia e della rivelazione, la voce rauca e talvolta caustica di questi scritti continua a risuonare e a contaminare le presunte certezze su cui amano poggiare le istituzioni dell’arte e della fotografia.
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Scritti

Lewis Baltz

pagine: 176 pagine

Lucido protagonista della “nuova topografia” americana degli anni settanta, artista costantemente  impegnato a decostruire la politica dei luoghi e delle rappresentazioni, sin dai suoi esordi Lewis Baltz ha accompagnato alla ricerca visiva una meditata attività di scrittura critica e autocritica. Le riflessioni raccolte in questo volume illum
Mezzo secolo di arte intera - Scritti 1964-2014
Se sappiamo quello che sappiamo sulla straordinaria rivoluzione artistica della seconda metà degli anni sessanta, di Arte Povera, Arte Concettuale, Arte Processuale e Land Art; se oggi riconosciamo in Boetti, Pistoletto e Zorio alcuni tra i più importanti esponenti della loro generazione; se conosciamo le ultime dichiarazioni di Lucio Fontana o avevamo già letto di figure recentemente riscoperte come quelle di Agnetti, Baruchello, Dadamaino, Mulas e Griffa, lo dobbiamo anche alle cronache, alle recensioni, ai saggi, all’opera editoriale e educativa di Tommaso Trini (Sanremo, 1937).Questa antologia colma una lacuna durata troppo a lungo e contribuisce a disegnare una mappa più accurata del panorama critico italiano, al di là di un consunto schema bipolare. Attraverso un’attenta opera di ricerca e di confronto condotta da Luca Cerizza in dialogo con l’autore, il volume raccoglie per la prima volta una selezione dell’ampia produzione critica di Trini: dai testi pionieristici dedicati ai futuri protagonisti dell’Arte Povera, alla serie di approfondite letture di altre figure cardine del dopoguerra, fino alle cronache e le analisi che – tra le prime a livello internazionale – definiscono in tempo reale le caratteristiche dei movimenti artistici postminimalisti che agitavano la seconda metà degli anni sessanta. Attraverso questi scritti, Trini si rivela rapido testimone e allo stesso tempo acuto lettore di molta dell’arte migliore di questo mezzo secolo.Un libro che restituisce agli appassionati d’arte e non solo una brillante scrittura critica, sostenuta da un ritmo e un’intelligenza incalzanti, in cui la partecipazione “militante” non sfocia mai in posizioni settarie e ideologiche.
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Mezzo secolo di arte intera

Scritti 1964-2014

Tommaso Trini

pagine: 356 pagine

Se sappiamo quello che sappiamo sulla straordinaria rivoluzione artistica della seconda metà degli anni sessanta, di Arte Povera, Arte Concettuale, Arte Processuale e Land Art; se oggi riconosciamo in Boetti, Pistoletto e Zorio alcuni tra i più importanti esponenti della loro generazione; se conosciamo le ultime dichiarazioni di Lucio Fontana o a
Il Surrealismo come tergicristallo - Scritti critici 1943-1984
Robert Lebel (1901-1986) è stato al contempo poeta e romanziere d’eccezione, fine critico d’arte, esperto di pittura antica e collezionista eccentrico. Oggi è ricordato principalmente per la celebre monografia su Marcel Duchamp apparsa nel 1959 dopo dieci anni di intensi scambi con l’artista da una sponda all’altra dell’Atlantico. Definirlo un esegeta di Duchamp, tuttavia, rischia di oscurare le molteplici sfaccettature di un importante testimone della cultura del suo tempo.Questa prima raccolta di scritti sul Surrealismo, composti da Lebel fra il 1943 e il 1984, intende compensare una visione parziale del suo percorso e rendere conto della complessità e dello spessore dei suoi legami con il movimento fondato da André Breton. Una selezione di testi teorici, saggi monografici e note critiche accompagnate da fotografie perlopiù inedite ricompone il profilo proteiforme di un intellettuale che indossa, di volta in volta, le vesti di adepto riluttante, spettatore ostinato e commentatore imparziale delle avventure surrealiste, di cui restituisce le fasi alterne e le relazioni controverse dei suoi protagonisti a partire dagli anni dell’esilio americano. Lebel appare come un cane sciolto capace ‒ per mezzo dell’umorismo e della dissacrazione ‒ di mantenere un’indipendenza di vedute imposta da una viscerale avversione verso ogni forma di militanza o di azione collettiva. Tale distacco non gli impedisce però di condurre il proprio occhio “iperlucido” a scavare in un universo artistico gremito di anime genuinamente sovversive ‒ da Roberto Matta a Isabelle Waldberg, da Yves Tanguy a Jean-Pierre Duprey ‒ attestando le sue passioni in una scrittura sontuosamente classica e libera.Nel rivelarci gli aspetti splendidi e insieme terrificanti di un movimento capitale del xx secolo, Lebel è animato dalla volontà non solo di mostrare il lato meno noto delle opere di artisti quali per esempio Lam, de Chirico o Ernst, ma anche di rispondere, in ogni fase della propria esistenza, a una domanda che un giorno gli è stata rivolta e che oggi ritorniamo a porci: a che punto siamo con il Surrealismo?
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Il Surrealismo come tergicristallo

Scritti critici 1943-1984

Robert Lebel

pagine: 240 pagine

Robert Lebel (1901-1986) è stato al contempo poeta e romanziere d’eccezione, fine critico d’arte, esperto di pittura antica e collezionista eccentrico. Oggi è ricordato principalmente per la celebre monografia su Marcel Duchamp apparsa nel 1959 dopo dieci anni di intensi scambi con l’artista da una sponda all’altra dell’Atlantico. Defin
Pittura provvisoria - Una svolta nell'arte contemporanea
Negli ultimi decenni sono proliferati gli artisti che, nel rifuggire i virtuosismi, hanno prodotto lavori che sfidano la definizione stessa di pittura. Enormi dipinti rigurgitanti di sbavature e tentativi abortiti testimoniano una lotta intensa con il medium. Opere di dimensioni modeste risultano ulteriormente svilite dal gesto incerto e dallo stile sciatto. Altre ancora optano per l’autosabotaggio, celando il loro contenuto dietro teli strappati. Perché mai i pittori dovrebbero firmare dipinti votati al fallimento? Forse per liberare l’arte dal giogo del mercato e dalle aspettative che da secoli si riversano sulla pittura. Artisti come Albert Oehlen, Mary Heilmann, David Hammons, Christopher Wool, Michael Krebber e Raoul De Keyser scelgono la via della provvisorietà, allontanandosi non solo dall’idea del “capolavoro”, ma anche da ogni parvenza di compiutezza. Del resto già Cézanne, con le sue tormentate rivisitazioni del monte Sainte-Victoire, o Giacometti, con i suoi ritratti mai conclusi, dimostravano una certa sfiducia nei confronti dell’opera finita. La storia dell’arte moderna è costellata di atti di negazione, di rifiuto radicale: un’attitudine che trova risonanza nelle arti e nelle filosofie asiatiche, dove il “non finito” è avvertito non come difetto ma come qualità da apprezzare e ricercare.Nei saggi qui raccolti – pubblicati a partire dal 2009 – Raphael Rubinstein traccia una genealogia della “pittura provvisoria” e si interroga su un’arte capace di rivendicare la propria transitorietà come un autentico valore.Postfazione di Luca Bertolo
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Pittura provvisoria

Una svolta nell'arte contemporanea

Raphael Rubinstein

pagine: 192 pagine

Negli ultimi decenni sono proliferati gli artisti che, nel rifuggire i virtuosismi, hanno prodotto lavori che sfidano la definizione stessa di pittura. Enormi dipinti rigurgitanti di sbavature e tentativi abortiti testimoniano una lotta intensa con il medium. Opere di dimensioni modeste risultano ulteriormente svilite dal gesto incerto e dallo stil
L'uso delle rovine - Ritratti ossidionali
Mentre rade al suolo Cartagine, Scipione Emiliano rievoca il pensiero di Eraclito: «Un cumulo di macerie gettate a caso, il più bell’ordine del mondo». Ogni guerriero, si convince Scipione, è l’artigiano di una nuova armonia universale. Eppure, stando ad Albert Speer e Victor Hugo, non tutte le rovine sono uguali, e farle bene è un’arte. Il primo plasma edifici destinati a produrre belle vestigia; il secondo, “critico d’arte marziale”, rimane folgorato alla vista di una torre sventrata, tanto da farne la matrice della nuova estetica romantica. Le rovine forniscono modelli all’arte, ma accade anche il contrario, se è vero che le bombe alleate si ispirano alle Rovine della vecchia Kreuzkirche, dipinte da Bernardo Bellotto nel 1765, per decidere il volto che avrà Dresda il mattino del 15 febbraio 1945.Neanche una promessa di distruzione può interrompere lo spettacolo della guerra. Così, nel bel mezzo di un raid aereo, la gestora di un cinema tedesco rimuove le macerie che impediscono la proiezione di un film di propaganda nazista. A pochi chilometri da lei, il Merzbau di Kurt Schwitters è tornato al suo stato originario di scorie disseminate per le strade della città, da dove l’artista le ha raccolte anni prima per elevarle a opera d’arte. Quello che Jean-Yves Jouannais ci presenta in queste pagine è un cenacolo esclusivo di eroi ossidionali – ovvero ossessionati dagli assedi – che, senza rinnegare il loro impegno alla causa bellica, ne hanno emendato le leggi, sentendosi più inclini all’arte. Dall’antichità ai giorni nostri, abitano spazi spettrali, costellati di detriti che l’autore descrive con allucinato realismo, tanto che al lettore sembrerà di toccare con mano la materia incandescente delle rovine di Berlino, Ebla, Halberstadt, Luoyping, Amburgo, Dura Europos o Stalingrado.
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L'uso delle rovine

Ritratti ossidionali

Jean-Yves Jouannais

pagine: 112 pagine

Mentre rade al suolo Cartagine, Scipione Emiliano rievoca il pensiero di Eraclito: «Un cumulo di macerie gettate a caso, il più bell’ordine del mondo». Ogni guerriero, si convince Scipione, è l’artigiano di una nuova armonia universale. Eppure, stando ad Albert Speer e Victor Hugo, non tutte le rovine sono uguali, e farle bene è un’arte.
Armi improprie - Lo stato della critica d’arte in Italia
Nel manifesto l’Antitradizione futurista, pubblicato nel 1913, Apollinaire riserva «mer…de aux critiques». Poco più di cento anni dopo quel j’accuse ha conservato, intatta, la sua forza scandalosa. Dov’è la critica, oggi? Condannata a una lenta eutanasia, è diventata un genere residuale: la figura del critico è stata sostituita da quella del curatore.Eppure, proprio nell’epoca in cui le opere d’arte sono divenute sempre più criptiche, questa pratica legata alle origini della modernità avrebbe un ruolo decisivo. Per non permettere che l’esoterismo e la volatilità di tante esperienze artistiche attuali ci escludano dal piacere. E per creare un sentimento di prossimità nei confronti di creazioni non di rado respingenti. Ma, per avere ancora un senso, la critica non può che ripartire dalle sue ragioni originarie. Rimodulare, attraverso le parole, i segni dipinti. Riaffermare la centralità dell’opera. Raccontare in che modo un quadro è nato e che cosa rappresenta; quali erano gli obiettivi del suo autore; come egli si è formato; che tecniche ha adoperato; che relazioni ha intrattenuto con la società in cui si è trovato ad agire; a quali simboli ha rimandato. E ancora: insegnare a vedere meglio ciò che è in evidenza, ma anche ciò che si nasconde nell’ombra. Infine, non lasciarsi sedurre dal mito dell’eterno cominciamento, per darsi come inquieta storia del presente. E, insieme, come esercizio “parziale, appassionato, politico” (per dirla con Baudelaire).Di questa filosofia, con sensibilità e culture diverse e lontane, si sono fatti interpreti critici come, tra gli altri, Roberto Longhi e Lionello Venturi, Giulio Carlo Argan e Francesco Arcangeli, Cesare Brandi e Filiberto Menna, Giuliano Briganti ed Emilio Villa, Germano Celant e Achille Bonito Oliva, Carla Lonzi e Lea Vergine. All’attualità della loro lezione è dedicato Armi improprie. Che suggerisce un viaggio appassionante tra idee, teorie, libri, articoli, progetti, mostre, esperienze corsare. Disegnando così i contorni di un possibile canone della critica d’arte italiana del XX secolo.
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Armi improprie

Lo stato della critica d’arte in Italia

pagine: 384 pagine

Nel manifesto l’Antitradizione futurista, pubblicato nel 1913, Apollinaire riserva «mer…de aux critiques». Poco più di cento anni dopo quel j’accuse ha conservato, intatta, la sua forza scandalosa. Dov’è la critica, oggi? Condannata a una lenta eutanasia, è diventata un genere residuale: la figura del critico è stata sostituita da que

Il sublime astratto

Pietro Conte

pagine: 120 pagine

L’incomprensione è parte integrante delle relazioni umane, e quando a comunicare sono Erwin Panofsky, il massimo teorico dell’iconologia medievale e rinascimentale, e Barnett Newman, esponente e principale teorico dell’Espressionismo Astratto, il disastro è assicurato. Soprattutto se nessuno è intenzionato a scendere a patti. Una polemica
Lo scolabottiglie di Duchamp
Nel 1914, poco prima di partire per New York, Marcel Duchamp compie un gesto dirompente: elevare uno scolabottiglie a opera d’arte attraverso la mera scelta di quell’oggetto e il successivo trasferimento nel “perimetro sacro” del suo studio. Tale azione inaugura la pratica dei readymade, prodotti industriali, d’uso comune, ai quali l’artista assegna arbitrariamente lo statuto di opere, ponendosi in aperta e ironica sfida all’idea dell’artista faber.Lo Scolabottiglie diventa così un precedente storico che permette a Ermanno Migliorini di attuare da un lato una acuta e lungimirante analisi dell’arte internazionale del secondo Novecento, individuando le sfide poste dalle neoavanguardie debitrici dell’atteggiamento iconoclasta di Duchamp; dall’altro di illuminare i problemi che le derive di tale gesto provocano all’“edificio estetico” e alla critica d’arte impreparati ad affrontarlo.In questo fondamentale saggio del 1970 si tenta di chiarire, attraverso la lente della filosofia analitica, il significato generale dell’operazione duchampiana e delle dichiarazioni che la accompagnano in quanto capaci di mettere in evidenza la dissociazione tra il procedimento artistico e le strutture valutative tradizionali. La pretesa di “proporre valore senza portare ragioni” ha contribuito a segnare profondamente la direzione in cui si muove buona parte dell’arte del nostro tempo. Una direzione che sullo sfondo trova, se non proprio lo Scolabottiglie o un altro readymade, qualcosa che gli somiglia molto, ovvero qualcosa legato al piano delle esperienze sensibili immotivate e immotivabili.
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Lo scolabottiglie di Duchamp

Ermanno Migliorini

pagine: 144 pagine

Nel 1914, poco prima di partire per New York, Marcel Duchamp compie un gesto dirompente: elevare uno scolabottiglie a opera d’arte attraverso la mera scelta di quell’oggetto e il successivo trasferimento nel “perimetro sacro” del suo studio. Tale azione inaugura la pratica dei readymade, prodotti industriali, d’uso comune, ai quali l’ar
Louvre, mon amour - Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo
È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale del museo parigino. Nessuno degli invitati si tirò indietro e la verità che ne emerse è valida tutt’oggi: ben lungi dal rappresentare una tortura, il Louvre esercita sull’artista un richiamo inesauribile nel tempo. Né scoraggiato né sollevato – semmai sedotto – dall’abisso che lo separa dai giganti che vi dimorano, solo l’artista sa interrogarli e intrattenere con loro un dialogo fra pari.Schneider registra ogni commento, ogni gesto, perfino i silenzi e gli umori altalenanti dei suoi interlocutori, dei quali tratteggia in poche battute l’itinerario del pensiero. Poi, al momento giusto, la domanda insidiosa. Le cui risposte – a volte feroci, a volte ammirate, mai deferenti – rivelano un acume raro e una grande intimità con artisti anche molto distanti. Assistiamo, così, all’imprevedibile commozione di Chagall davanti a Courbet («un grande poeta»), alla sua stizza di fronte a Ingres («troppo leccato»), alla predilezione di Giacometti per l’autoritratto di Tintoretto («la testa più magnifica del Louvre»), allo stupore onomatopeico di Miró, che lancia fischi di ammirazione ai mosaici africani. Lo sguardo di ciascuno scivola sulle opere per scandagliarne la materia, commentarne la “chimica” e decretarne, infine, la tenuta nel tempo.In queste trascinanti passeggiate soffia uno spirito di riconciliazione fra vecchio e nuovo che mette in crisi l’idea del museo quale deposito di oggetti obsoleti, incapaci di parlare ai contemporanei. Ai suoi undici ospiti d’eccezione il Louvre appare, di volta in volta, come il libro da cui imparare a leggere, la palestra in cui irrobustirsi, una scuola per affinare la visione, il cimitero ideale, una macchina del tempo che azzera scarti millenari, un ponte fra passato e presente, ma soprattutto il luogo in cui è possibile misurarsi con quanto di più grande è stato creato dall’inizio dei tempi.
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Louvre, mon amour

Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo

Pierre Schneider

pagine: 192 pagine

È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale d
Hitler e il potere dell’estetica
Su Adolf Hitler sono stati scritti innumerevoli libri. Anni fa, quando la CBS annunciò di voler produrre un film sugli anni della sua gioventù, si sollevò un coro di proteste quasi unanime, riassumibili nella domanda: «Sappiamo chi è e sappiamo che cosa ha combinato, cos’altro c’è da sapere?».Frederic Spotts apre su Hitler e il Terzo Reich una prospettiva del tutto inedita, offrendoci una sorprendente rivisitazione degli obiettivi del Führer e della grande macchina che allestì intorno a sé. Raramente si è parlato del ruolo della cultura nella sua visione di un Superstato ariano, dove invece aveva un’importanza fondamentale: non era il fine a cui doveva aspirare il potere, ma addirittura il mezzo per conquistarlo.Dagli spettacolari raduni di partito a Norimberga alle imponenti opere architettoniche, dai festival musicali e il travagliato rapporto con Wagner alle politiche di epurazione, dai suoi stessi acquerelli al sogno di aprire un’enorme galleria d’arte a Linz: così l’artista mancato riuscì a esprimere il proprio talento ipnotizzando la Germania e gran parte dell’Europa. Una volta finito il conflitto, poi, l’unico nemico che Hitler non avrebbe imprigionato ma «lasciato comodamente vivere in una fortezza, con la possibilità di scrivere le sue memorie e di dipingere», sarebbe stato Winston Churchill, ovvero l’ufficiale britannico che durante la Prima guerra mondiale ritraeva le rovine di un villaggio mentre il Führer, sulla sponda opposta del fiume, immortalava una chiesa.Probabilmente, quindi, aveva ragione Carl Burckhardt, commissario della Lega delle nazioni a Danzica che nel 1939 incontrò il Führer due volte: il dittatore aveva una doppia personalità, da un lato l’«artista ipergentile», dall’altro il «maniaco omicida». Da oltre cinquant’anni a questa parte, per ovvie ragioni, gli scrittori hanno raccontato il maniaco omicida. Spotts, senza voler in alcun modo ignorare il secondo Hitler, ci parla del primo.
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Hitler e il potere dell’estetica

Frederic Spotts

pagine: 480 pagine

Su Adolf Hitler sono stati scritti innumerevoli libri. Anni fa, quando la CBS annunciò di voler produrre un film sugli anni della sua gioventù, si sollevò un coro di proteste quasi unanime, riassumibili nella domanda: «Sappiamo chi è e sappiamo che cosa ha combinato, cos’altro c’è da sapere?».Frederic Spotts apre su Hitler e il Terzo Rei

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