fbevnts Tutti i libri di di Johan & Levi Editore | Pagina 5
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Catalogo

Macchina e stella - L’eredità di Duchamp
A partire dagli emblemi lasciati in eredità da Duchamp alla seconda metà del Novecento, la macchina e la stella, questo volume presenta tre minisaggi sul tema dell’ispirazione e delle sue intermittenze. A partire dalle opere di Marcel Duchamp, Jasper Johns e Alighiero Boetti, Michele Dantini getta nuova luce sulla metafora dell’artista come “macchina”, sul venir meno del processo creativo come ordinata routine professionale che aveva tradizionalmente caratterizzato la trasposizione dell’ “idea” in immagine. Una svolta per certi versi liberatoria, ma anche foriera di implicazioni allarmanti, sperimentate in tutta la loro urgenza dalla generazione “informale”: come proteggersi dalle discontinuità dell’“ispirazione”, come conferire durata al tempo interiore, se tutto si risolve nell’irripetibile eccezionalità dell’attimo? Dantini analizza passo dopo passo la “reinvenzione” del mestiere di artista: la curiosa adozione di readymade per restituire plausibilità e vigore alle tecniche tradizionali, la dilatazione indefinita dei tempi di esecuzione; la pratica dell’arte della ripetizione e la creazione di appaganti routine grazie a procedimenti “automatici”, impersonali e addirittura delegabili. Al “miserabile spettatore” e alla sua acutezza il compito di cogliere nelle opere una continuità nella transizione, di ricostruire le metafore soggiacenti e «interpretare una routine rivelatasi improvvisamente sgombra di tecniche e riferimenti riconoscibili».
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Macchina e stella

L’eredità di Duchamp

Michele Dantini

pagine: 96 pagine

A partire dagli emblemi lasciati in eredità da Duchamp alla seconda metà del Novecento, la macchina e la stella, questo volume presenta tre minisaggi sul tema dell’ispirazione e delle sue intermittenze. A partire dalle opere di Marcel Duchamp, Jasper Johns e Alighiero Boetti, Michele Dantini getta nuova luce sulla metafora dell’artista come
Lo scolabottiglie di Duchamp
Nel 1914, poco prima di partire per New York, Marcel Duchamp compie un gesto dirompente: elevare uno scolabottiglie a opera d’arte attraverso la mera scelta di quell’oggetto e il successivo trasferimento nel “perimetro sacro” del suo studio. Tale azione inaugura la pratica dei readymade, prodotti industriali, d’uso comune, ai quali l’artista assegna arbitrariamente lo statuto di opere, ponendosi in aperta e ironica sfida all’idea dell’artista faber.Lo Scolabottiglie diventa così un precedente storico che permette a Ermanno Migliorini di attuare da un lato una acuta e lungimirante analisi dell’arte internazionale del secondo Novecento, individuando le sfide poste dalle neoavanguardie debitrici dell’atteggiamento iconoclasta di Duchamp; dall’altro di illuminare i problemi che le derive di tale gesto provocano all’“edificio estetico” e alla critica d’arte impreparati ad affrontarlo.In questo fondamentale saggio del 1970 si tenta di chiarire, attraverso la lente della filosofia analitica, il significato generale dell’operazione duchampiana e delle dichiarazioni che la accompagnano in quanto capaci di mettere in evidenza la dissociazione tra il procedimento artistico e le strutture valutative tradizionali. La pretesa di “proporre valore senza portare ragioni” ha contribuito a segnare profondamente la direzione in cui si muove buona parte dell’arte del nostro tempo. Una direzione che sullo sfondo trova, se non proprio lo Scolabottiglie o un altro readymade, qualcosa che gli somiglia molto, ovvero qualcosa legato al piano delle esperienze sensibili immotivate e immotivabili.
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Lo scolabottiglie di Duchamp

Ermanno Migliorini

pagine: 144 pagine

Nel 1914, poco prima di partire per New York, Marcel Duchamp compie un gesto dirompente: elevare uno scolabottiglie a opera d’arte attraverso la mera scelta di quell’oggetto e il successivo trasferimento nel “perimetro sacro” del suo studio. Tale azione inaugura la pratica dei readymade, prodotti industriali, d’uso comune, ai quali l’ar

Fantastiche presenze

Note su estetica, arte contemporanea e realtà aumentata

Sofia Pirandello

pagine: 112 pagine

La realtà aumentata popola il contesto quotidiano con oggetti digitali e interattivi, consentendo di operare trasformazioni concrete sull’ambiente per mezzo di un’immagine intelligente e responsiva. Da mero oggetto di contemplazione, l’immagine si fa dunque corpo, sintetico ma sensibile, capace di coinvolgere, talvolta di incantare e spavent
Marianna Kennedy. As above, so below
Edizione bilingue Ita/EngMarianna Kennedy lavora da oltre venticinque anni nella nella sua casa-studio di Londra creando un numero limitato di pezzi di design artistico, ciascuno dei quali è il risultato di mesi di collaborazione con i migliori artigiani britannici. Nella sua pratica creativa l’impiego di tecniche tradizionali convive da sempre con una visione estetica estremamente contemporanea. Conosciuta e apprezzata a livello internazionale, i suoi lavori sono entrati a far parte di prestigiose collezioni private.Questa pubblicazione è dedicata all’opera site-specific realizzata da Kennedy per il Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati ed è parte di una nuova serie di monografie su importanti artisti contemporanei che hanno collaborato con la Fondazione. As Above So Below è uno specchio costituito da trentotto singoli pezzi riflettenti dalla particolare colorazione rosata, montati all’interno di una ricca decorazione floreale in legno intagliato. Rappresentazione del ciclo della natura, lo specchio riproduce nella parte bassa il mondo materiale, con rocce e grotte, mentre gli elementi vegetali che ne solcano la superficie simboleggiano l’ascesa al mondo spirituale, alla luce, all’infinito.Intervistata da Ben Weaver, Kennedy ripercorre la storia della commissione della grande specchiera, dall’ispirazione originaria alla sua evoluzione, elencando tutte le maestranze coinvolte. La pubblicazione è arricchita da un saggio di Dan Cruickshank sulla storia dell’intaglio britannico nell’architettura e nelle arti decorative del XVIII secolo, sulle differenze con l’intaglio continentale e sull’eredità di tale pratica, che rappresenta per Kennedy una fonte inesauribile di ispirazione.
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Marianna Kennedy. As above, so below

Dan Cruickshank, Marianna Kennedy, Ben Weaver

pagine: 76 pagine

Edizione bilingue Ita/EngMarianna Kennedy lavora da oltre venticinque anni nella nella sua casa-studio di Londra creando un numero limitato di pezzi di design artistico, ciascuno dei quali è il risultato di mesi di collaborazione con i migliori artigiani britannici. Nella sua pratica creativa l’impiego di tecniche tradizionali convive da sempre
Louvre, mon amour - Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo
È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale del museo parigino. Nessuno degli invitati si tirò indietro e la verità che ne emerse è valida tutt’oggi: ben lungi dal rappresentare una tortura, il Louvre esercita sull’artista un richiamo inesauribile nel tempo. Né scoraggiato né sollevato – semmai sedotto – dall’abisso che lo separa dai giganti che vi dimorano, solo l’artista sa interrogarli e intrattenere con loro un dialogo fra pari.Schneider registra ogni commento, ogni gesto, perfino i silenzi e gli umori altalenanti dei suoi interlocutori, dei quali tratteggia in poche battute l’itinerario del pensiero. Poi, al momento giusto, la domanda insidiosa. Le cui risposte – a volte feroci, a volte ammirate, mai deferenti – rivelano un acume raro e una grande intimità con artisti anche molto distanti. Assistiamo, così, all’imprevedibile commozione di Chagall davanti a Courbet («un grande poeta»), alla sua stizza di fronte a Ingres («troppo leccato»), alla predilezione di Giacometti per l’autoritratto di Tintoretto («la testa più magnifica del Louvre»), allo stupore onomatopeico di Miró, che lancia fischi di ammirazione ai mosaici africani. Lo sguardo di ciascuno scivola sulle opere per scandagliarne la materia, commentarne la “chimica” e decretarne, infine, la tenuta nel tempo.In queste trascinanti passeggiate soffia uno spirito di riconciliazione fra vecchio e nuovo che mette in crisi l’idea del museo quale deposito di oggetti obsoleti, incapaci di parlare ai contemporanei. Ai suoi undici ospiti d’eccezione il Louvre appare, di volta in volta, come il libro da cui imparare a leggere, la palestra in cui irrobustirsi, una scuola per affinare la visione, il cimitero ideale, una macchina del tempo che azzera scarti millenari, un ponte fra passato e presente, ma soprattutto il luogo in cui è possibile misurarsi con quanto di più grande è stato creato dall’inizio dei tempi.
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Louvre, mon amour

Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo

Pierre Schneider

pagine: 192 pagine

È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale d
Hitler e il potere dell’estetica
Su Adolf Hitler sono stati scritti innumerevoli libri. Anni fa, quando la CBS annunciò di voler produrre un film sugli anni della sua gioventù, si sollevò un coro di proteste quasi unanime, riassumibili nella domanda: «Sappiamo chi è e sappiamo che cosa ha combinato, cos’altro c’è da sapere?».Frederic Spotts apre su Hitler e il Terzo Reich una prospettiva del tutto inedita, offrendoci una sorprendente rivisitazione degli obiettivi del Führer e della grande macchina che allestì intorno a sé. Raramente si è parlato del ruolo della cultura nella sua visione di un Superstato ariano, dove invece aveva un’importanza fondamentale: non era il fine a cui doveva aspirare il potere, ma addirittura il mezzo per conquistarlo.Dagli spettacolari raduni di partito a Norimberga alle imponenti opere architettoniche, dai festival musicali e il travagliato rapporto con Wagner alle politiche di epurazione, dai suoi stessi acquerelli al sogno di aprire un’enorme galleria d’arte a Linz: così l’artista mancato riuscì a esprimere il proprio talento ipnotizzando la Germania e gran parte dell’Europa. Una volta finito il conflitto, poi, l’unico nemico che Hitler non avrebbe imprigionato ma «lasciato comodamente vivere in una fortezza, con la possibilità di scrivere le sue memorie e di dipingere», sarebbe stato Winston Churchill, ovvero l’ufficiale britannico che durante la Prima guerra mondiale ritraeva le rovine di un villaggio mentre il Führer, sulla sponda opposta del fiume, immortalava una chiesa.Probabilmente, quindi, aveva ragione Carl Burckhardt, commissario della Lega delle nazioni a Danzica che nel 1939 incontrò il Führer due volte: il dittatore aveva una doppia personalità, da un lato l’«artista ipergentile», dall’altro il «maniaco omicida». Da oltre cinquant’anni a questa parte, per ovvie ragioni, gli scrittori hanno raccontato il maniaco omicida. Spotts, senza voler in alcun modo ignorare il secondo Hitler, ci parla del primo.
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Hitler e il potere dell’estetica

Frederic Spotts

pagine: 480 pagine

Su Adolf Hitler sono stati scritti innumerevoli libri. Anni fa, quando la CBS annunciò di voler produrre un film sugli anni della sua gioventù, si sollevò un coro di proteste quasi unanime, riassumibili nella domanda: «Sappiamo chi è e sappiamo che cosa ha combinato, cos’altro c’è da sapere?».Frederic Spotts apre su Hitler e il Terzo Rei
Nonumento - Un paradosso della memoria
Affidiamo le nostre memorie ai monumenti perché le conservino per noi. Così possiamo permetterci di dimenticarle. È questo il paradosso che affligge il memoriale: costruito come dispositivo di rammemorazione, si ribalta nel suo contrario, e diventa macchina di oblio. L’arte monumentale contemporanea si è ingegnata per trovare una terapia a questa patologia. A partire dagli anni sessanta si è formato un movimento eterogeneo, spesso radicale e non di rado contraddittorio, di artisti implicati nella progettazione di “contromonumenti” o “antimonumenti”: congegni che per via negativa ci interrogano profondamente nel nostro rapporto paradossale con la memoria e l’oblio. Rifacendosi liberamente ai non-uments di Gordon Matta-Clark, Andrea Pinotti, preferisce chiamarli “nonumenti” e ne offre una grammatica e una tipologia.Ma ci riesce davvero, il nonumento, a fare meglio del monumento? Davvero un parallelepipedo o una fontana che spariscono nel terreno gestiscono meglio le nostre smemoratezze rispetto a un obelisco o a una colonna orgogliosamente eretti nella loro ostinata verticalità? Davvero una performance o un re-enactment che durano pochi minuti o poche ore, risultano più efficaci di un mausoleo ben piantato dove sta da centinaia di anni? Davvero aria, luce, colori, bits, ci salvaguardano dall’amnesia più di pietra, bronzo, ferro?Queste domande risultano oggi urgenti più che mai: il tema del memoriale è tornato alla ribalta, proprio quando ci si impegna da più parti a buttarne giù il più possibile. In un’epoca in cui le statue vengono gettate nelle discariche come conseguenza dell’ondata di violenza iconoclasta ispirata dalla cosiddetta cancel culture o woke culture, questo libro propone una riflessione insieme estetica e politica sull’arte monumentale contemporanea e sulla contraddizione che l’affligge: negare il monumento, per riaffermarlo. Fare il nonumento.
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Nonumento

Un paradosso della memoria

Andrea Pinotti

pagine: 320 pagine

Affidiamo le nostre memorie ai monumenti perché le conservino per noi. Così possiamo permetterci di dimenticarle. È questo il paradosso che affligge il memoriale: costruito come dispositivo di rammemorazione, si ribalta nel suo contrario, e diventa macchina di oblio. L’arte monumentale contemporanea si è ingegnata per trovare una terapia a qu

Sul design

Anni Albers

pagine: 128 pagine

Al Black Mountain College, la scuola sperimentale nel North Carolina che aveva accolto i coniugi Albers in fuga dal nazismo, Anni era solita ripetere ai suoi studenti: «Bisogna esplorare luoghi dove nessuno prima di noi è mai stato». Un atteggiamento spregiudicato che non doveva tuttavia precludere uno sguardo retrospettivo capace di misurare i
Vestire all'etrusca
A giudicare dalla varietà di indumenti raffigurati con abbondanza di dettagli nella produzione artistica degli Etruschi, questo popolo risentì di molteplici influenze culturali, anche in fatto di moda. Tanto che, se un vestire “all’etrusca” c’è stato, non sarebbe possibile immaginarlo fuori dal contesto delle relazioni commerciali e dei frequenti scambi tra i popoli del Mediterraneo e del Vicino Oriente.È il caso delle diverse varianti del chitone, veste di origine greca, ma anche di acconciature come la lunga treccia portata sulla schiena, di derivazione orientale, o del tutulus di importazione greca, declinato però secondo forme tipicamente locali.Per individuare i tratti più autoctoni della moda etrusca, Larissa Bonfante compie un’articolata analisi dei suoi sviluppi dall’VIII fino al V secolo a.C. Lo fa attraverso un ricco percorso iconografico che segue l’evoluzione dei singoli capi di vestiario, calzature, ornamenti e pettinature, sui quali le fonti scritte hanno lasciato scarse notizie. È grazie agli artisti, infatti, che conosciamo il gusto per il lusso che portava gli Etruschi a adornarsi di gioielli e accessori; l’abitudine di vestire indumenti cuciti su misura in opposizione a quelli ampi e fluenti dei Greci; la riluttanza nei confronti della nudità di questi ultimi e la passione per una vasta gamma di cappelli in contrasto con l’uso greco di andare a capo scoperto; o, ancora, l’usanza femminile di indossare abiti che altrove erano riservati agli uomini, come la tebenna semicircolare, il mantello corto infilato alla rovescia e le calzature con i lacci. Usanza che rifletteva la libertà di cui godevano le donne nella vita pubblica e nella società rispetto ad altre civiltà coeve.Per Bonfante l’abbigliamento diventa un documento storico importante per datare i reperti e attribuire un sesso, un rango sociale e perfino un nome alle figure rappresentate. Se la moda degli Etruschi è espressione delle influenze assorbite dai modelli greci e vicino-orientali e trasmesse poi al mondo romano, questa polarità non esclude lo spazio di uno stile specificamente etrusco.
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Vestire all'etrusca

Larissa Bonfante

pagine: 304 pagine

A giudicare dalla varietà di indumenti raffigurati con abbondanza di dettagli nella produzione artistica degli Etruschi, questo popolo risentì di molteplici influenze culturali, anche in fatto di moda. Tanto che, se un vestire “all’etrusca” c’è stato, non sarebbe possibile immaginarlo fuori dal contesto delle relazioni commerciali e dei
Diego, l'altro Giacometti
Infaticabile assistente e paziente modello, Diego Giacometti ha condiviso con il fratello Alberto quarant’anni di vita e di lavoro, in un rapporto simbiotico tra i più intensi della storia dell’arte moderna.Il suo è un percorso creativo a cavallo tra scultura e design, con un approccio molto personale all’arte della decorazione: i mobili e gli oggetti da lui realizzati rincorrono un’eleganza asciutta e severa, impreziosita da sottili riferimenti a civiltà di altre epoche, a partire da quella etrusca, ed esaltata dalla predilezione per il bronzo. L’istintiva simpatia per gli animali lo porta a ritrarli spesso, anche nei mobili: la loro presenza non ha solamente una funzione ornamentale, ma trasforma la struttura stessa dell’oggetto animandone i volumi interni che, come le linee essenziali di un paesaggio, diventano ancora più leggeri e ariosi. Sono ideali che Diego condivide con il celebre arredatore d’interni Jean-Michel Frank, con cui collaborò in più occasioni.Oltre alle numerose committenze dei privati, Diego è sollecitato anche dalle istituzioni pubbliche, dal Musée national Marc Chagall fino alla commissione più prestigiosa: la proposta di realizzare, ormai ottantenne, la decorazione per il nuovo Musée Picasso di Parigi, sua consacrazione postuma, e definitiva, come artista.In questo catalogo, pubblicato in occasione della prima mostra italiana su Diego Giacometti presso la Fondazione Luigi Rovati, il curatore Casimiro Di Crescenzo ne traccia il profilo biografico, fa luce su molti aspetti della vita dei fratelli Giacometti a Parigi, puntualizza alcuni fatti e scopre novità interessanti, ricorrendo anche alla corrispondenza con i familiari. I quattro testi che introducono le sezioni delle opere descrivono i nuclei tematici della produzione di Diego (scultura, mobili e oggetti, raffigurazioni di animali), oltre che il già citato ruolo come modello di altri, del padre ma soprattutto di Alberto.Il catalogo è arricchito da testi di Roger Montandon, Eberhard W. Kornfeld, Henri Cartier-Bresson.
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Diego, l'altro Giacometti

pagine: 224 pagine

Infaticabile assistente e paziente modello, Diego Giacometti ha condiviso con il fratello Alberto quarant’anni di vita e di lavoro, in un rapporto simbiotico tra i più intensi della storia dell’arte moderna.Il suo è un percorso creativo a cavallo tra scultura e design, con un approccio molto personale all’arte della decorazione: i mobili e

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