fbevnts Protagonisti - tutti i libri per gli amanti del genere Protagonisti - Johan & Levi Editore | Pagina 5
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Protagonisti

Ettore Sottsass

Tornano sempre le primavere, no?

Marco Belpoliti, Michele De Lucchi, Giuseppe Varchetta

pagine: 120 pagine

Felicità e malinconia sono gli estremi entro cui si colloca tutta l’avventura umana e artistica di Ettore Sottsass: felicità di essere appartenuto a un Eden perduto eppure sempre presente, che è l’infanzia, e insieme malinconia per non poterlo rivivere, non poter fermare il tempo. Giuseppe Varchetta, psicologo dell’organizzazione e fotogra

Marcel Broodthaers

Libro d'immagini

Wilfried Dickhoff, Bernard Marcadé

pagine: 320 pagine

In soli dodici anni di carriera, il belga Marcel Broodthaers (Bruxelles 1924-Colonia 1976) ha prodotto più idee di quanto di solito non si faccia nell’arco di un’intera vita. Dopo essersi dedicato per vent’anni alla poesia, nel 1964 abbandona questa forma espressiva per firmare un patto con un universo, le arti visive, dai valori opposti. Mu
Infinity Net - La mia autobiografia
Un mare color argento di sfere riflettenti, distese smisurate di candidi falli, una proliferazione di pois che tracimano dalle tele fino a invadere l’intera stanza. Al centro, inghiottita dalla sua stessa arte, una minuta giapponese dai capelli neri come la pece, Yayoi Kusama.Nata a Matsumoto nel 1929 da una famiglia tradizionalista, appena può la piccola Yayoi fugge nelle piantagioni del nonno materno dove, tra nuvole di malvarosa, si abbandona alle più stravaganti visioni che poi fissa su tela. La pittura è l’unico sollievo ai precoci patimenti esistenziali, e Yayoi è decisa a coltivarla fino in fondo, a costo di porre un intero oceano tra sé e chi cerca di impedirglielo. Sbarcata ventottenne a New York, l’inferno in terra, ancora una volta è l’arte a salvarla: supera la povertà e i ripetuti collassi nervosi esorcizzando le proprie fobie con i celebri Infinity Nets e le soft sculptures.Dall’arte “psicosomatica” alle folli performance con orge e partouzes il passo è breve: sul finire degli anni sessanta Yayoi cavalca lo tsunami hippie e i Kusama Happenings diventano gli eventi clou della rivoluzione pacifista. «Preferisci la guerra o il sesso libero?» chiede a un agente la sacerdotessa dei pois. I suoi proseliti la chiamano sister, “monaca”, perché – al contrario di quanto pensano i suoi scandalizzati compatrioti – lei dirige le danze, ma non partecipa. Il sesso, infatti, le fa letteralmente orrore. Ben più della morte, che in fondo, come diceva il suo amico Joseph Cornell, «è come spostarsi nella stanza accanto».Raccontate in prima persona con spiazzante sincerità e ricche di momenti autenticamente comici, queste pagine ricostruiscono la parabola di una delle personalità più eccentriche, ambivalenti e incantevoli che l’arte giapponese abbia mai conosciuto.
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Infinity Net

La mia autobiografia

Yayoi Kusama

pagine: 160 pagine

Un mare color argento di sfere riflettenti, distese smisurate di candidi falli, una proliferazione di pois che tracimano dalle tele fino a invadere l’intera stanza. Al centro, inghiottita dalla sua stessa arte, una minuta giapponese dai capelli neri come la pece, Yayoi Kusama.Nata a Matsumoto nel 1929 da una famiglia tradizionalista, appena può
Piero Manzoni - Vita d'artista
6 febbraio 1963: ad appena trent’anni Piero Manzoni viene trovato morto nello studio di via Fiori Chiari, stroncato da un infarto. Da quel momento in poi è la sua fama di personaggio provocatore e scapestrato ad affermarsi, insieme all’opera più dissacrante, la Merda d’artista, che entra nella leggenda e nell’immaginario collettivo.Ma cosa c’è in realtà prima, dopo e dietro quei trenta grammi di prodotto purissimo d’autore? È ciò che ricostruisce e racconta Flaminio Gualdoni in questa biografia, che traccia il filo rosso della ricerca artistica di Manzoni, mettendo ordine in una congerie di materiali finora frammentari e lasciando da parte qualsiasi ipotesi fantasiosa e non documentata. Le notti di “dolce vita milanese” e le giovanili scorribande in bicicletta, le prime prove sotto il patrocinio di Fontana alla ricerca di una voce personale, il sodalizio con giovani artisti italiani a lui contemporanei, le collaborazioni con i movimenti d’avanguardia internazionali di cui diventa un esponente ricercato e riconosciuto: tutto scorre velocemente, fino a relegare sempre più sullo sfondo il Manzoni privato e a portare in primo piano il Manzoni artista.A imporsi fortemente, pure nel continuo e incessante sperimentare attraverso ogni mezzo – dalla pittura ai progetti per ambienti immersivi –, è infatti il nocciolo duro e compatto di un’avventura estetica attorno all’essenza stessa dell’opera d’arte. Un impegno ostinato, di cui la vita, nel suo duplice connotato di banalmente quotidiana e artisticamente eccezionale, non può che essere parte integrante. «C’è solo da essere, c’è solo da vivere.»
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Piero Manzoni

Vita d'artista

Flaminio Gualdoni

pagine: 240 pagine

6 febbraio 1963: ad appena trent’anni Piero Manzoni viene trovato morto nello studio di via Fiori Chiari, stroncato da un infarto. Da quel momento in poi è la sua fama di personaggio provocatore e scapestrato ad affermarsi, insieme all’opera più dissacrante, la Merda d’artista, che entra nella leggenda e nell’immaginario collettivo.Ma cos
Alfred Jarry - Una vita patafisica
Alla sua morte, appena trentaquattrenne, Alfred Jarry (Laval 1873-Parigi 1907) era già una leggenda nei salotti parigini, più per l’anticonformismo, praticato con irriverenza, che per il suo genio letterario. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che venisse riconosciuto come uno dei padri delle avanguardie e che Ubu re diventasse l’emblema di un teatro radicalmente moderno. La sua influenza è stata così profonda e duratura che tutt’oggi una comunità di cultori mantiene un dialogo postumo con le sue idee attraverso il Collegio di ’Patafisica', dove accanto a grandi nomi della cultura internazionale figurano anche intellettuali italiani come Italo Calvino, Enrico Baj e Umberto Eco.Per molti, tuttavia, Jarry resta soltanto l’autore di una pièce assurda e grottesca e la sua vita un mero concatenarsi di stravaganti aneddoti: le spiazzanti provocazioni ai gloriosi Martedì del Mercure, la totale identificazione con Père Ubu che finì per divorarlo, il disprezzo per ogni forma di decoro, lo humour scatologico, le bravate erculee con l’alcol, gli exploit con il revolver, le prodezze ciclistiche e con la canna da pesca, fino all’ultimo desiderio espresso in letto di morte, ovvero uno stuzzicadenti.In questa prima biografia critica a tutto tondo gli aneddoti rimangono e addirittura si moltiplicano grazie a una profusione di nuove fonti finora inedite cui Alastair Brotchie attinge, però, con discernimento, riuscendo a separare il personaggio dal suo mito e a svelare oltre la maschera quel mostro stravagante e delicato che era Alfred Jarry. Si delinea così la parabola di un uomo determinato a inventare – e distruggere – se stesso e il mondo circostante per mezzo di una filosofia edificata sul principio dell’identità degli opposti, perno di tutto l’universo di Jarry e fulcro di un’opera, ancora incredibilmente attuale, che ha saputo accogliere sia le buffonerie di Ubu sia le sottigliezze della scienza della Patafisica.
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Alfred Jarry

Una vita patafisica

Alastair Brotchie

pagine: 448 pagine

Alla sua morte, appena trentaquattrenne, Alfred Jarry (Laval 1873-Parigi 1907) era già una leggenda nei salotti parigini, più per l’anticonformismo, praticato con irriverenza, che per il suo genio letterario. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che venisse riconosciuto come uno dei padri delle avanguardie e che Ubu re diventasse l’emble
Joseph Beuys - Una vita di controimmagini
Gilet da pescatore su camicia bianca, jeans e cappello di feltro. D’inverno una lunga pelliccia di lince rivestita di seta blu, da giovane una cravatta nera fermata da una piccola mascella di lepre. Così si presentava Joseph Beuys, l’inconfondibile aspetto di un personaggio fantastico a cavallo tra il clown e il gangster. Appena entrava in scena, faceva sempre il contrario di quanto ci si aspettasse, spesso e volentieri cose che a prima vista non avevano alcun senso: avvolgersi nel feltro, vivere con un coyote, staccare gelatina da una parete, rimanere fermo per ore nella stessa posizione, spazzare il bosco, spiegare quadri a una lepre morta o bendare un coltello dopo essersi ferito il dito. Tutto questo – e il grasso che guarisce, il feltro che riscalda, il miele che nutre, le batterie che si ricaricano – per trasmettere scariche di energia e provocare negli spettatori uno choc salutare, un ampliamento della consapevolezza. La creatività è una «messa in forma» della libertà, ed è patrimonio di tutti: allora «sii sempre vigile» ripeteva Beuys, e «diventa artefice della tua rivoluzione. Ogni uomo è un artista».Rinunciando, con rare eccezioni, alle interpretazioni e ai giudizi stereotipati su uno dei personaggi più discussi e vivisezionati del XX secolo, Heiner Stachelhaus mette insieme un ritratto a tutto tondo di Joseph Beuys a partire dalle “controimmagini” della sua stessa vita: gli studi di scienze naturali e il confronto con l’antroposofia steineriana; l’incidente in Crimea e le esperienze tra i tartari, l’insegnamento e l’occupazione dell’Accademia, le 7000 querce e la battaglia ecologista, il Beuys privato che beveva acqua del rubinetto in bicchieri di cristallo molato. Fino ad arrivare al Blocco-Beuys di Darmstadt, il museo-laboratorio in cui ancora aleggia lo spirito dell’«unico artista», come disse Karl Ströher, «capace di esprimere la specificità della nostra epoca».
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Joseph Beuys

Una vita di controimmagini

Heiner Stachelhaus

pagine: 188 pagine

Gilet da pescatore su camicia bianca, jeans e cappello di feltro. D’inverno una lunga pelliccia di lince rivestita di seta blu, da giovane una cravatta nera fermata da una piccola mascella di lepre. Così si presentava Joseph Beuys, l’inconfondibile aspetto di un personaggio fantastico a cavallo tra il clown e il gangster. Appena entrava in sce
Mario Schifano - Una biografia
«Mi conoscono anche quelli che non mi conoscono, quindi inventate quello che volete»: così Mario Schifano era solito allontanare gli aspiranti biografi che lo assediavano. Tanto che al giorno d’oggi uno degli artisti italiani più prolifici e amati – nonché falsificati e chiacchierati – del xx secolo paradossalmente è anche uno dei meno conosciuti. Attraverso una narrazione a più voci delle persone che lo hanno “vissuto”, seguito e sopportato, Luca Ronchi ci offre una possibile biografia di Mario Schifano, con tutti i lati oscuri, le sorprese, le debolezze e l’intimità di un personaggio ormai entrato nella leggenda.Lo scenario del viaggio nel tempo propostoci da Ronchi non può che essere Roma, il «paesone cosmopolita» che durante la guerra accoglie Schifano ancora bambino di ritorno dalle bianche spiagge della Libia. Sotto gli indimenticabili cieli della Città Eterna, sulla terrazza di piazza Scanderbeg che fungeva da studio en plein air, nei primi anni sessanta Mario inizia a dipingere quei monocromi che lo renderanno uno dei protagonisti dell’arte italiana del Novecento. Ed è sempre a Roma che decide di continuare la sua avventura pittorica e di costruire, in un vortice di «lucida follia», il suo universo underground all’insegna della trasversalità e del “meticciamento”. Fonda un gruppo pop-rock; si cimenta in filmati all’avanguardia; frequenta intellettuali e aristocratici; cambia macchine, abiti e televisori con una rapidità sconvolgente; viene arrestato e “messo alla gogna” per il consumo di sostanze stupefacenti: simile a «un piccolo puma di cui non si sospetterebbe mai la muscolatura e lo scatto, molto elegante nei movimenti e nei comportamenti», Schifano era da tutte le parti, non stava mai fermo. Dotato di un fascino innato e di una «bellezza alla Rodolfo Valentino», è anche un grande seduttore: da dive come Marianne Faithfull o Maria Schneider alle sue tre donne più importanti Anita Pallenberg, Nancy Ruspoli e Monica De Bei, la madre di suo figlio.Forse nell’immaginario popolare Schifano resterà sempre l’incarnazione perfetta della concezione romantica che vede nell’artista genio e sregolatezza. Oltre la fama, però, spenti i flash delle cronache mondane c’è un pittore ancora tutto da scoprire che negli ultimi tempi amava citare una frase di Lucian Freud: the man is nothing, the work is everything.
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Mario Schifano

Una biografia

Luca Ronchi

pagine: 416 pagine

«Mi conoscono anche quelli che non mi conoscono, quindi inventate quello che volete»: così Mario Schifano era solito allontanare gli aspiranti biografi che lo assediavano. Tanto che al giorno d’oggi uno degli artisti italiani più prolifici e amati – nonché falsificati e chiacchierati – del xx secolo paradossalmente è anche uno dei meno
Memorie di un mercante di quadri
Scritti in prima persona a mo’ di aneddoti sul suo esordio nel mestiere, i ricordi del leggendario mercante di quadri hanno il merito di restituirci l’atmosfera di un mondo ormai scomparso.Siamo nella Parigi di fine Ottocento, i pittori “rifiutati” si impongono, a poco a poco, come principali attori della scena su cui muove i primi passi il giovane Vollard. Sbarcato nella capitale per proseguire gli studi di Diritto, non tarda ad abbandonare la toga per frequentare librerie e bancarelle, dove scova stampe e disegni a buon mercato che saranno i suoi primi materiali di scambio. Dotato di uno spregiudicato senso per gli affari, ha anche l’indispensabile fiuto per capire da che parte tira il vento: fa visita alla vedova di Manet, e torna a casa con un’intera raccolta di disegni del maestro; stringe amicizia con Renoir, Degas e soprattutto Pissarro, di cui segue i consigli; rastrella lo studio di Cézanne, poi quelli di Vlaminck, Derain e Picasso; assume una posizione coraggiosa nel mercato d’avanguardia esponendo van Gogh e Gauguin.Con grande audacia Vollard salta dalla pittura, alle stampe, ai libri e diversifica così il lavoro, il suo e quello degli artisti intorno a sé. Unendo due vecchie passioni, la letteratura e la grafica, diventa editore di libri d’arte di gran pregio, illustrati dai pittori ed esposti insieme ai dipinti nella stessa bottega di rue Laffitte. L’epoca è propizia per chi ha una galleria nella “strada dei quadri”, centro di gravità per mercanti e collezionisti dove è facile imbattersi in Matisse, Renoir, Degas, Redon, Apollinaire, Jarry, spesso ospiti delle indimenticabili cene alla Cantina Vollard. È nel corso di tali serate che l’anfitrione tende il suo “orecchio da mercante” per registrare ogni battuta e poterci trasmettere, con la straordinaria verve della presa in diretta, dialoghi e tranches de vie dei più grandi artisti dell’epoca. Sono loro i veri protagonisti delle sue memorie, eppure il lettore coglierà, fra le righe, un’immagine precisa dello stesso Vollard, il mercante di quadri per eccellenza, senz’altro il più immortalato, come dimostrano gli innumerevoli ritratti eseguiti dai pittori del suo entourage, alcuni dei quali riprodotti nelle pagine di questo libro.
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Memorie di un mercante di quadri

Ambroise Vollard

pagine: 320 pagine

Scritti in prima persona a mo’ di aneddoti sul suo esordio nel mestiere, i ricordi del leggendario mercante di quadri hanno il merito di restituirci l’atmosfera di un mondo ormai scomparso.Siamo nella Parigi di fine Ottocento, i pittori “rifiutati” si impongono, a poco a poco, come principali attori della scena su cui muove i primi passi il
Quando Marina Abramović morirà
Belgrado 1974. Marina Abramović dà fuoco a una monumentale stella a cinque punte, simbolo del regime di Tito, ci si distende dentro fino a svenire per asfissia. Un anno dopo a Napoli, uno spettatore le punta al collo una pistola carica: l’artista ha sfidato il pubblico a usare su di lei, risolutamente passiva, uno qualsiasi degli oggetti predisposti su un tavolo. New York 2002. Marina vive per dodici giorni in un’abitazione pensile allestita alla Sean Kelly Gallery. Digiuna. Il solo nutrimento è l’avido sguardo degli astanti che la osservano bere, dormire, lavarsi e urinare. Tra la schiera di spettatori c’è James Westcott: è il suo primo incontro con “la nonna della Performance Art”, come lei ama definirsi, e l’incipit di Quando Marina Abramović morirà, biografia intima di un’artista che da quarant’anni gioca con la morte mettendo il proprio corpo al centro di performance leggendarie.Agli esordi, lanciarsi nell’arte performativa significa per Marina ribellarsi a un’educazione “militarizzata”, tiranneggiata da una madre che le impone diktat culturali comunisti e non la bacia mai. Il taglio netto con Belgrado e il decollo della carriera avvengono dopo l’incontro con l’artista tedesco Ulay, con il quale, a bordo di un furgone Citroën trasformato in casa mobile, gira l’Europa e si esibisce in pezzi che mettono a nudo una simbiosi estrema culminata nell’esibizione di Nightsea Crossing. Ripetuta novanta volte in cinque anni, i due si fissano negli occhi per sette ore consecutive, seduti immobili a un tavolo. Nell’ultima performance di coppia, Marina e Ulay s’incamminano dalle estremità opposte della Grande Muraglia cinese per incontrarsi a metà strada, tre mesi dopo, e dirsi addio. Di nuovo solista e presto consacrata dal Leone d’oro del 1997, Abramović approda infine sotto i riflettori di New York, da dove domina tuttora la scena artistica internazionale.Piu volte le è stato chiesto se durante le sue audaci azioni abbia mai avuto paura di morire. «Okay, muoio. E allora?» risponde. «La vita è un sogno e la morte è un risveglio. Piuttosto, dovremmo pensare a quanto è preziosa la nostra esistenza e al modo insensato in cui la sprechiamo.»
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Quando Marina Abramović morirà

James Westcott

pagine: 352 pagine

Belgrado 1974. Marina Abramović dà fuoco a una monumentale stella a cinque punte, simbolo del regime di Tito, ci si distende dentro fino a svenire per asfissia. Un anno dopo a Napoli, uno spettatore le punta al collo una pistola carica: l’artista ha sfidato il pubblico a usare su di lei, risolutamente passiva, uno qualsiasi degli oggetti predis
Francis Bacon - Una vita dorata nei bassifondi
«Stronzate!» esclama Bacon spazientito quando Daniel Farson gli chiede se è contento di essersi guadagnato un posto nell’Olimpo della storia dell’arte. La reazione è sincera, non gliene importa degli orpelli della fama, figuriamoci della posterità. «Da morti non serviamo più a nulla, è finita» ripete. Non crede in Dio, nella moralità o nell’amore, ma si definisce comunque un ottimista. Un ottimista del nulla, che campa della “sensazione del momento”. La vita è così insensata, tanto vale farne qualcosa di straordinario: il paradosso nietzschiano guida anche un approccio alla pittura improntato alla capacità di sfruttare l’“incidente creativo”, come quando getta a caso il colore sulla tela per vedere che cosa può tirarne fuori.Simile a un funambolo in bilico fra astrattismo e figurazione, si muove abbinando a una casualità intenzionale il calcolo del giocatore d’azzardo. Bacon rema contro l’ondata della moda artistica, che in questi anni abbraccia l’astratto: vuole dipingere la tragica bellezza della vita e se arriva a distorcere la figura umana è solo per trarne una verità più grandiosa e violenta.Analogo intento sembra animare questo libro – vivida memoria personale anziché biografia ufficiale – che riesuma materiali di prima mano raccolti nel corso di un’amicizia iniziata nel 1951 in un locale di Soho e durata oltre quarant’anni. Quello di Farson è il racconto sboccato e senza veli di un artista fuori misura, capace di amori smodati e odi feroci, di slanci magnanimi e spietate calunnie. Fra una bevuta di champagne e una frecciata al vetriolo, lo seguiamo nelle spumeggianti scorrazzate “tra i bassifondi e il Ritz”, al cui capolinea c’è sempre Soho, la bohème di Londra, la seconda casa, se non la prima, di scrittori e artisti che consumano il loro talento nell’alcol. Per Bacon la discesa nel sottobosco omosessuale va di pari passo con l’inarrestabile ascesa artistica: i capolavori in cui esplode una sessualità furiosa passeranno alla storia, ma se qualcuno gli chiede di che cosa si occupi, risponde caustico: «Sono una vecchia checca».
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Francis Bacon

Una vita dorata nei bassifondi

Daniel Farson

pagine: 290 pagine

«Stronzate!» esclama Bacon spazientito quando Daniel Farson gli chiede se è contento di essersi guadagnato un posto nell’Olimpo della storia dell’arte. La reazione è sincera, non gliene importa degli orpelli della fama, figuriamoci della posterità. «Da morti non serviamo più a nulla, è finita» ripete. Non crede in Dio, nella moralità
Leo & C. - Storia di Leo Castelli
«Non sono un mercante d’arte, sono un gallerista» amava ripetere Leo Castelli. Per i suoi artisti è stato molto di più: un mecenate.Dall’apertura della prima galleria nel 1957 fino alla morte nel 1999, Castelli domina la vita culturale newyorkese ed eleva lo status dell’artista americano, che in quegli anni raggiunge la vetta più alta nel panorama artistico mondiale. Con lui si afferma la figura del gallerista polivalente. Imprenditore e infaticabile scopritore alla perenne ricerca del nuovo, è pronto a correre rischi e a servirsi delle strategie commerciali più efficaci per dare visibilità ai suoi protetti. Affiancato da Ileana Sonnabend – ex moglie con cui mantiene un rapporto di grande complicità – Castelli incoraggia i talenti emergenti e li promuove presso le istituzioni museali. Tramite una vasta rete di rapporti internazionali reinventa le regole del mercato e rivoluziona la cultura artistica stessa. La scoperta di Jasper Johns, suo artista feticcio, e la consacrazione di Robert Rauschenberg alla Biennale di Venezia del 1964 sono solo i primi colpi messi a segno. Si susseguono numerose altre epifanie – Frank Stella, Roy Lichtenstein, Andy Warhol, James Rosenquist, Cy Twombly, per citarne solo alcuni – che lo confermano come creatore di miti.Ma chi è Leo Castelli, l’uomo che ha atteso i cinquant’anni per aprire la sua prima galleria? Dietro il carisma di europeo affabile e mediatico si nasconde un uomo dalle molteplici identità. Nato nel 1907 a Trieste da genitori ebrei, Leo trascorre i primi trent’anni nelle grandi città d’Europa – Vienna, Milano, Budapest, Bucarest, Parigi. La sua traiettoria professionale inizia con l’esodo rocambolesco nel Nuovo Mondo per fuggire al drammatico contesto politico-sociale delle leggi razziali naziste e degli sconvolgimenti che ne seguiranno.Annie Cohen-Solal affonda le radici del suo racconto nel passato remoto della famiglia Castelli, ne rintraccia gli antenati nella Toscana rinascimentale e ricostruisce una storia fitta di persecuzioni, guerre, rotture, spostamenti, che offre sorprendenti analogie con il passato più recente della famiglia e con la parabola stessa di Leo. Ironia della sorte: un uomo sempre reticente sulla propria identità ebraica trova proprio nel Jewish Museum, dopo il MOMA, l’istituzione che lo sancirà come paladino dei grandi movimenti dell’arte americana – dal Pop al Concettuale – che sono l’imponente lascito di Leo Castelli.
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Leo & C.

Storia di Leo Castelli

Annie Cohen-Solal

pagine: 464 pagine

«Non sono un mercante d’arte, sono un gallerista» amava ripetere Leo Castelli. Per i suoi artisti è stato molto di più: un mecenate.Dall’apertura della prima galleria nel 1957 fino alla morte nel 1999, Castelli domina la vita culturale newyorkese ed eleva lo status dell’artista americano, che in quegli anni raggiunge la vetta più alta ne

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