fbevnts Panorami - tutti i libri per gli amanti del genere Panorami - Johan & Levi Editore | Pagina 2
Vai al contenuto della pagina

Panorami

La notte dei simulacri - Sogno, cinema, realtà virtuale
Avvolti dalle spire della notte, tutti noi abitiamo spazi in cui i suoni, le immagini e le persone che ci circondano sembrano vividi e tangibili. Ma una volta aperti gli occhi, l’incantesimo si spezza e queste apparizioni tinte di follia o di stupore si rivelano soltanto un sogno. A pensarci bene, è ciò che accade anche durante una simulazione di realtà virtuale, un’esperienza multisensoriale in cui il flusso degli eventi può essere interrotto semplicemente sollevando il visore, proprio come in un brusco risveglio.Mondo onirico e virtuale condividono infatti molto più di quanto si creda: entrambi fanno del punto di vista soggettivo il centro assoluto, e soprattutto entrambi configurano una relazione estetica con l’immagine che comincia a essere indagata a partire dall’Ottocento – il secolo che più ha insistito nel portare alla luce i meccanismi del sogno – e trova con l’avvento delle tecnologie digitali la sua piena e compiuta realizzazione. Nel mezzo, a fare da ponte mediale, il cinema, che nel Novecento ha dato forma a fantasie e incubi traghettando l’esperienza immersiva fuori dalla rigida bidimensionalità dello schermo, “bucandone” la superficie proprio come Buster Keaton in uno dei suoi più celebri film.Scopriremo quindi che cosa i primi sensazionali panorami e ciclorami hanno in comune con la new media art di Zoe Beloff e Char Davies, come Topolino vada a braccetto con Cocteau e Kurosawa e in che modo i moderni dispositivi VR possono essere considerati un’evoluzione delle mascherine per dormire: una ricognizione archeologica nella storia dei media e nel concetto di immersività che apre la strada alla comprensione di un nuovo tipo di orizzonte artistico, proiettato oltre il puro dato visivo.
Scopri

La notte dei simulacri

Sogno, cinema, realtà virtuale

Giancarlo Grossi

pagine: 197 pagine

Avvolti dalle spire della notte, tutti noi abitiamo spazi in cui i suoni, le immagini e le persone che ci circondano sembrano vividi e tangibili. Ma una volta aperti gli occhi, l’incantesimo si spezza e queste apparizioni tinte di follia o di stupore si rivelano soltanto un sogno. A pensarci bene, è ciò che accade anche durante una simulazione
The Whale Theory - Un immaginario animale
La balena è un animale che si mostra solo a chi sa aspettare: creatura colossale e opalescente, sfugge allo sguardo e come Moby Dick “elude cacciatori e filosofi”. L’incontro con lei è fulmineo e fatale; può avvenire in mare, tra i calanchi ossuti degli Appennini, in un museo o scrutando la volta celeste. Nei secoli è stata mostro mitologico e ispiratrice di racconti, fonte di sussistenza e oggetto di devozione, immagine ossessiva che inghiotte e accoglie all’interno del proprio ventre.Per l’artista Claudia Losi diventa un’idea fissa nel 2004. Da quel momento prende il via un’impresa che si declina in molteplici forme e azioni attorno al corpo itinerante di una balenottera comune, ricostruito in tessuto di lana grigia a grandezza naturale. È Balena Project, entità viva che si muove e calamita storie in giro per il mondo, assorbendo suggestioni e mutando continuamente aspetto. The Whale Theory, capitolo conclusivo di questo viaggio, ne è la materializzazione letteraria. Libro d’artista che custodisce strane e segrete meraviglie, è anche una bussola che consente di ripercorrere questa lunga esperienza poetica attraverso illustrazioni, fotografie e testi, facendosi luogo di incontro di competenze e sguardi diversi, in una polifonia di voci che si mescolano al canto dei cetacei.Lanciata audacemente nell’abisso, Claudia Losi vi si perde con grazia e lascia affiorare una geografia marina fatta di parole e visioni che hanno nutrito l’archetipo della balena nel suo immaginario privato come in quello collettivo: un inno dedicato al mistero di questo imponente abitante degli oceani e alle narrazioni che hanno accompagnato la nostra storia di esseri umani.Con testi di: Christopher Collins, Matteo Meschiari, Vinicio Capossela, Jean Rezzonico, Jean D’Yvoire, Gianni Pavan, Silvia Bottani, Tore Teglbjaerg, Mauro Sargiani, Petra Aprile, Sunaura Taylor, Gioia Laura Iannilli, Jurg Slabbert, Kate Pocklington, Philip Hoare. 
Scopri

The Whale Theory

Un immaginario animale

Claudia Losi

pagine: 208 pagine + 48 (inserti)

La balena è un animale che si mostra solo a chi sa aspettare: creatura colossale e opalescente, sfugge allo sguardo e come Moby Dick “elude cacciatori e filosofi”. L’incontro con lei è fulmineo e fatale; può avvenire in mare, tra i calanchi ossuti degli Appennini, in un museo o scrutando la volta celeste. Nei secoli è stata mostro mitolog
In posa - L'arte e il linguaggio del corpo
Tutte le volte che un artista si appresta a realizzare un ritratto non può fare a meno di interrogarsi sulla posa da dare al soggetto. Lo raffigurerà in piedi, seduto oppure disteso? Quale sentimento trasparirà dall’espressione del suo volto? Le mani saranno incrociate sul petto o intente a compiere qualche rito apotropaico? Certo, un dipinto ci cattura in primo luogo per la qualità della pittura e per l’identità del protagonista, ma ogni gesto, espressione o postura del corpo è in realtà la chiave di uno scrigno all’interno del quale si possono scovare tracce dei costumi di un particolare periodo storico e retaggi di culture lontane nel tempo e nello spazio.E chi meglio di Desmond Morris poteva raccogliere la sfida di raccontare una storia del linguaggio del corpo che fosse anche una delizia per la curiosità del lettore? Coniugando le sue due anime di etologo e di artista surrealista, l’autore ci guida in un singolare percorso attraverso le pose che per secoli − dalla statuaria romana fino alla cultura pop − hanno solleticato l’attenzione degli appassionati d’arte. Scopriremo così perché Napoleone aveva sempre la mano destra infilata nel panciotto e perché i sovrani erano spesso ritratti con un piede rivolto verso lo spettatore. Se poi è vero che alcuni gesti come il pugno agitato in aria hanno valore universale, una linguaccia può essere interpretata come manifestazione di una natura demoniaca o come semplice insolenza infantile a seconda dell’epoca in cui compare.Con le sue magistrali intuizioni, Morris ci racconta come gli artisti sono riusciti a dare forma nelle loro opere ai mutamenti che, nel corso dei secoli, hanno interessato gli usi e le convenzioni sociali. Nel farlo, incappa in sorprendenti somiglianze ed eterni ritorni riscoprendo gesti da tempo dimenticati e inondando di nuova luce anche i capolavori che ci sembravano più familiari.
Scopri

In posa

L'arte e il linguaggio del corpo

Desmond Morris

pagine: 320 pagine

Tutte le volte che un artista si appresta a realizzare un ritratto non può fare a meno di interrogarsi sulla posa da dare al soggetto. Lo raffigurerà in piedi, seduto oppure disteso? Quale sentimento trasparirà dall’espressione del suo volto? Le mani saranno incrociate sul petto o intente a compiere qualche rito apotropaico? Certo, un dipinto
Viceversa - Il mondo visto di spalle
Che siano solitarie o in compagnia, ignare o consapevoli di essere guardate, ribelli o ironiche, candide o sensuali, le figure di schiena parlano una lingua che ci affascina, e sono presenza costante nella storia dell’arte.La prima a voltarci le spalle è stata, in età romana, la Flora di Stabia, ponte simbolico tra il mondo di profilo degli antichi egizi e la pittura italiana del Trecento, epoca in cui i soggetti di schiena fanno la loro comparsa. Ricorrenti nel corso del Rinascimento perlopiù come parte di scene collettive, diventano protagonisti nel Seicento, grazie alla pittura fiamminga. E se in Giappone le geishe da tempo immemore nascondono il volto lasciando scoperto il collo, chiave d’accesso all’intimità carnale, è nell’Ottocento che in Occidente l’inquadratura sulla nuca comincia a stringersi, fino a diventare Leitmotiv pittorico e letterario pari a quello delle Rückenfiguren, icone della contemplazione romantica. Nel Novecento il mondo visto da tergo offre visioni eccentriche e dirompenti e propone un nuovo punto di vista sull’arte e i suoi spettatori.Eleonora Marangoni ha scelto le sue figure di schiena attraverso i secoli, mescolando letteratura e fotografia, cinema e pittura, video art e fumetto. Di queste presenze, che accosta per associazione o isola nella loro iconicità, evoca il carattere simbolico e la cifra poetica, per mostrarci come il potere di tali immagini nasca da quello che non dicono, dall’inesauribile esercizio dell’immaginazione che sono capaci di innescare.
Scopri

Viceversa

Il mondo visto di spalle

Eleonora Marangoni

pagine: 160 pagine

Che siano solitarie o in compagnia, ignare o consapevoli di essere guardate, ribelli o ironiche, candide o sensuali, le figure di schiena parlano una lingua che ci affascina, e sono presenza costante nella storia dell’arte.La prima a voltarci le spalle è stata, in età romana, la Flora di Stabia, ponte simbolico tra il mondo di profilo degli a
L'arte del falso
È il 1947 e Han van Meegeren è sotto processo per alto tradimento: accusato di aver venduto durante la guerra un pezzo del patrimonio culturale olandese al gerarca nazista Hermann Göring, rischia l’esecuzione capitale. Il “Vermeer” in questione l’ha dipinto lui, ma nessuno gli crede. Per dimostrarlo, gli viene chiesto di eseguirne una copia lì, seduta stante. La risposta sprezzante di van Meegeren non si fa attendere: «In tutta la mia carriera non ho mai dipinto una copia! Ma vi dipingerò un nuovo Vermeer. Vi dipingerò un capolavoro!».Le motivazioni che spingono una mano così ingegnosa a commettere questo genere di crimine sono le più svariate, ma il livore nei confronti dell’establishment artistico o la sfida verso i cosiddetti occhi esperti sono un motore di gran lunga più potente della mera speculazione. Se imitare le opere dei grandi maestri è stata per lungo tempo una consuetudine, alcuni hanno continuato a farlo per semplice diletto o per il gusto di provocare, con l’autocompiacimento tipico di chi si misura con i giganti della storia dell’arte.Noah Charney ci scorta in un’avventurosa spedizione tra storia, psicologia e scienza, alla scoperta dei drammi e degli intrighi che circondano le vicende dei più famosi falsi d’arte: dalle “copie non originali” di Dürer a opera di Marcantonio Raimondi alla coppa in oro del maestro orafo Reinhold Vasters finita al Metropolitan con la firma di Benvenuto Cellini, fino alle imprese di Wolfgang Beltracchi, vero e proprio mago della truffa che ha prodotto una quantità incalcolabile di capolavori contraffatti diventando addirittura protagonista di un documentario di successo. Il pubblico, del resto, rimane sempre affascinato da questi loschi personaggi, tanto che i criminali spesso passano per eroi. Dotati di un fascino oscuro, consumati dalla hybris di riscrivere la storia, i falsari creano inganni perfetti per dimostrare di essere geniali. E in molti casi lo sono davvero.
Scopri

L'arte del falso

Noah Charney

pagine: 293 pagine

È il 1947 e Han van Meegeren è sotto processo per alto tradimento: accusato di aver venduto durante la guerra un pezzo del patrimonio culturale olandese al gerarca nazista Hermann Göring, rischia l’esecuzione capitale. Il “Vermeer” in questione l’ha dipinto lui, ma nessuno gli crede. Per dimostrarlo, gli viene chiesto di eseguirne una co
Breve storia delle macchie sui muri - Veggenza e anti-veggenza in Jean Dubuffet e altro Novecento
Un giorno fra i tre e i due milioni e mezzo di anni fa un australopiteco si aggirava nella valle di Makapan, in Sudafrica, quando qualcosa all’improvviso attirò la sua attenzione. Era un ciottolo di diaspro, il cui aspetto, modellato dal lavorio degli agenti naturali, lo rendeva simile a un cranio umano. Tre cavità su una superficie rotonda ed ecco apparire un volto: in un mondo che fino a quel momento si era limitato alla pura esistenza, nasceva per la prima volta un’“immagine”.L’attitudine a scorgere figure nei sassi o nelle nuvole presuppone una facoltà innata nell’uomo, quella di fraintendere la realtà con saggezza, attribuendole un senso. Dal Paleolitico in poi questo delirio d’interpretazione, per dirla con Dalí, non ha cessato di avere ripercussioni sulla produzione artistica, facendo di chi lo pratica un “veggente”. Ma se è vero che negli sputi sulle pareti di un ospedale Piero di Cosimo riusciva a scorgere addirittura delle scene di battaglia, nel Novecento si manifesta anche un movimento opposto: lasciando che sia la figura a degenerare in macchia, si aprono le porte dell’anti-veggenza.L’ossessione di Max Ernst per le screpolature del legno, materia informe e viva per i suoi celebri frottages, e la predilezione di Pierre Bonnard per le scene domestiche in cui i contorni abituali si dissolvono nell’illeggibilità si rivelano così facce della stessa medaglia. Due tendenze che trovano un anello di congiunzione nell’opera di Jean Dubuffet, che con le sue impronte, frutto della casuale impressione di briciole, sale e polvere su una lastra, e le sue testure – in cui anche una barba finisce per essere un’esperienza di visione incongruente –, ha dato corpo alla disposizione dell’arte contemporanea a scompaginare lo sguardo sul reale.E proprio facendo di Dubuffet il suo filo rosso, Adolfo Tura, in maniera acuta e imprevedibile, insegue i mille rivoli – arte, filosofia e letteratura tra gli altri – in cui veggenza e anti-veggenza affiorano come strumenti all’apparenza antitetici ma in grado di sussurrare risposte alla stessa inquietudine novecentesca.
Scopri

Breve storia delle macchie sui muri

Veggenza e anti-veggenza in Jean Dubuffet e altro Novecento

Adolfo Tura

pagine: 111 pagine + 4 (inserto)

Un giorno fra i tre e i due milioni e mezzo di anni fa un australopiteco si aggirava nella valle di Makapan, in Sudafrica, quando qualcosa all’improvviso attirò la sua attenzione. Era un ciottolo di diaspro, il cui aspetto, modellato dal lavorio degli agenti naturali, lo rendeva simile a un cranio umano. Tre cavità su una superficie rotonda ed
La storia dell'Impressionismo
Quando nel 1946 compare la prima edizione, La storia dell’Impressionismo è subito celebrata per la straordinaria semplicità espositiva, l’uso di fonti primarie e l’abilità nel ricostruire fin nei minimi particolari le vicende che culminano nella prima mostra impressionista del 1874. Coprendo un arco complessivo di circa trent’anni, dal 1855 al 1886, il volume è la cronaca di una strenua battaglia, fatta di trionfi e sconfitte, di integrità e perseveranza, di un lento e travagliato processo di demolizione del muro di dissenso della critica e dei pregiudizi borghesi. Protagonisti di questa rivolta sono Monet, Bazille, Manet, Degas, Pissarro, Sisley, Gauguin, Morisot, Redon, Seurat e Signac, i quali, votati alla pittura en plein air e insofferenti alle forme tradizionali della rappresentazione, realizzano tele additate al pubblico disprezzo e trasformano in vessillo un epiteto – “pittori dell’impressione” – coniato per dileggio da un giornalista. Nella sapiente miscela di rigore scientifico e gusto per la divulgazione non mancano gli affondi critici, che John Rewald affronta con garbo, senza mai cedere alle insidie di un gergo tecnico. Il risultato è una narrazione di forte presa sul lettore e al tempo stesso il più accurato resoconto di un periodo capitale della storia dell’arte, di cui vengono rievocati il clima, gli aromi, le amicizie e le sfumature delle diverse personalità grazie alla ricostruzione dei dialoghi e della vita quotidiana degli artisti. Essenziale è infatti la ricchezza di citazioni tratte dai documenti raccolti dallo stesso Rewald presso i testimoni superstiti, nella consapevolezza che la sua è l’ultima occasione per fissarne la memoria prima che il tempo li disperda. Testo cardine degli studi sull’Impressionismo, l’autore continuerà negli anni ad arricchirlo fino al 1973, versione che viene qui ripubblicata con un nuovo apparato iconografico a colori in ossequio ad artisti il cui lavoro è innanzitutto una rivoluzione della luce e del colore.Prefazione di Flaminio Gualdoni
Scopri

La storia dell'Impressionismo

John Rewald

pagine: 606 pagine

Quando nel 1946 compare la prima edizione, La storia dell’Impressionismo è subito celebrata per la straordinaria semplicità espositiva, l’uso di fonti primarie e l’abilità nel ricostruire fin nei minimi particolari le vicende che culminano nella prima mostra impressionista del 1874. Coprendo un arco complessivo di circa trent’anni, dal 1
Il museo dell'arte perduta
Immaginiamo un luogo pronto ad accogliere la totalità delle opere d’arte disperse. Sarebbe di gran lunga il più immenso fra i musei esistenti e vi convivrebbero capolavori di ogni epoca, più di quanti ne sono conservati in tutte le collezioni del mondo messe insieme. Statue greco-romane accanto a icone bizantine, dipinti inceneriti nei falò di Savonarola di fianco a migliaia di opere sequestrate e distrutte dai nazisti e a monumenti ridotti in polvere dai miliziani dell’ISIS. Ma raccoglierebbe, in primo luogo, un catalogo completo delle ragioni per cui l’arte scompare dalla circolazione: per furto o a causa di un bombardamento, per effetto di catastrofe naturale o di naufragio, per atto vandalico quando non addirittura per mano dello stesso artista che ripudia i frutti del proprio lavoro o ne programma il disfacimento, come per certe opere di Land Art destinate a essere divorate dal tempo e dalle intemperie. Un simile museo sarebbe un monito, un’immagine tangibile della caducità di ogni creazione umana. Emblemi di questa singolare storia dell’arte sono la triste vicenda di tele come Gli spaccapietre di Courbet, messa in salvo insieme ad altri tesori in una torre del castello di Dresda poco prima che questo fosse raso al suolo dalle bombe degli Alleati, o la misteriosa sorte delle opere sottratte alla collezione Stuart Gardner e mai più ricomparse.Destino, quest’ultimo, opposto a quello riservato a un de Kooning rubato da una sala di museo e ritrovato trent’anni dopo appeso in una camera da letto di periferia o a quello degli strabilianti mosaici d’oro che oggi tappezzano Santa Sofia a Istanbul, rimasti nascosti per quattrocento anni sotto l’intonaco imbiancato. Infine, laddove non ha potuto la fortuna o l’indagine investigativa, oggi può la scienza. E così, capolavori smarriti di Goya, Picasso e Malevič sono stati individuati, grazie ai raggi X e ad altre sofisticate tecnologie, dietro successivi strati di pittura.Tali episodi, lascia intendere Noah Charney, dischiudono uno spiraglio e ci ricordano che non tutto è perso, non per sempre. Il vasto repertorio di ritrovamenti tardivi, salvataggi miracolosi o eccezionali agnizioni di opere la cui identità è rimasta a lungo offuscata sta ad attestare che dire perduto è come dire in attesa di essere riportato alla luce.
Scopri

Il museo dell'arte perduta

Noah Charney

pagine: 296 pagine

Immaginiamo un luogo pronto ad accogliere la totalità delle opere d’arte disperse. Sarebbe di gran lunga il più immenso fra i musei esistenti e vi convivrebbero capolavori di ogni epoca, più di quanti ne sono conservati in tutte le collezioni del mondo messe insieme. Statue greco-romane accanto a icone bizantine, dipinti inceneriti nei falò d
L'ombra lunga degli etruschi - Echi e suggestioni nell'arte del Novecento
Quello degli etruschi è un mito che ha sfidato i secoli. Dal Quattrocento, quando Leon Battista Alberti fu tra i primi a rivalutare l’ordine tuscanico, agli anni più recenti con le prime grandi mostre dedicate, l’interesse per questa enigmatica civiltà del passato non è mai venuto meno. Una passione che si è però nutrita di istanze talmente diverse – a seconda che a rivolgervi il proprio sguardo fossero studiosi da un lato, o letterati e artisti dall’altro – da far parlare di due distinte Etrurie: una “scientifica”, che soprattutto dall’Ottocento e con gli importanti scavi di inizio Novecento ha assunto contorni sempre più precisi, e una “evocata”, immaginata, tanto favolosa quanto  irrecuperabile.È questa l’Etruria dei pittori e degli scultori: di Enrico Prampolini, che presta la sua matita d’avanguardista per una rivista a tema; di Arturo Martini, Massimo Campigli e Marino Marini, che, ognuno con accenti propri, arriveranno a rivendicare una vera e propria discendenza diretta; di artisti apparentemente lontani dal quel mondo, come il francese Edgar Degas e l’inglese Henry Moore; e di figure che battono territori considerati marginali come quello della ceramica, quali Gio Ponti e Roberto Sebastián Matta.Martina Corgnati si addentra in un lungo e articolato percorso che dalla fine del XIX secolo giunge fino alle soglie del XXI attraverso ibridazioni e riscritture del passato, tra suggestioni più o meno esplicite e riferimenti puntuali. Non mancano le incursioni nel dibattito letterario, particolarmente vivo nel nostro paese, dove un mito fondativo più autenticamente italico rispetto a quello greco o romano ha trovato da sempre un terreno fecondo. Attraverso il prisma del “fenomeno etruschi” si può così vedere l’arte del Novecento sotto una nuova luce, percorrendone i sentieri all’ombra di questo antico popolo.
Scopri

L'ombra lunga degli etruschi

Echi e suggestioni nell'arte del Novecento

Martina Corgnati

pagine: 240 pagine

Quello degli etruschi è un mito che ha sfidato i secoli. Dal Quattrocento, quando Leon Battista Alberti fu tra i primi a rivalutare l’ordine tuscanico, agli anni più recenti con le prime grandi mostre dedicate, l’interesse per questa enigmatica civiltà del passato non è mai venuto meno. Una passione che si è però nutrita di istanze
Delirious Museum - Un viaggio dal Louvre a Las Vegas
Indossando i panni sia del flâneur che del situazionista, Calum Storrie si imbarca in un immaginario percorso alla scoperta di città ed epoche diverse che lo porta a perlustrare una serie di ambienti – luoghi pubblici, architetture, ma anche mostre storiche e opere d’arte – tutti possibili incarnazioni del concetto di “museo delirante”. Luogo inafferrabile per eccellenza, il Delirious Museum reinterpreta o ridefinisce il modello museale tradizionale attraverso un détournement che prende corpo nel rifiuto di una narrazione lineare in favore di una forma disarticolata, composta – come l'arte stessa – da un montaggio anacronistico di tracce e frammenti. Sono gli echi di una città che ha invaso il museo (ma anche il contrario) spalancandolo alla vita e rendendo i suoi significati fluidi e mutevoli. Il furto della Gioconda, nel 1911, segna un primo contagio. Portato in strada, il capolavoro di Leonardo diventa nomade e fa il suo ingresso nella modernità. I surrealisti se ne impossessano per i propri fini: Duchamp le aggiunge baffi e pizzetto, Dalí la trasforma in autoritratto. Con il ritorno del dipinto, il germe del Delirious Museum è ormai entrato al Louvre, e dai suoi corridoi si propaga per le vie di quella Parigi già esplorata da Baudelaire, poi da Benjamin, Aragon e Breton. Una città onirica e porosa, provvista di fenditure che ne lasciano intravedere realtà parallele, nate dal caso e da un certo grado di caos. Sulle tracce di possibili derive, l'autore si imbatte negli allestimenti di El Lissitzky e Kiesler e negli objets trouvés di Cornell e Warhol, si perde nella collezione di Soane, nell'architettura museale di Libeskind e nel museo-labirinto di Carlo Scarpa. È infine con il postmodernismo che il Delirious Museum raggiunge l'apoteosi nelle sue diverse declinazioni: dai progetti di Gehry e Koolhaas, fino a spettacolari città-palinsesto come Los Angeles e Las Vegas. Ricettacolo di aneddoti e fatti arcani, questo libro-wunderkammer riesamina i confini evanescenti fra i musei e le città che li contengono. Lo fa attraverso una narrazione rizomatica che, imitando ciò che descrive, procede dal presente al passato per poi tornare al contemporaneo e stabilire infine un rapporto simbiotico tra lo spazio e la sua memoria.
Scopri

Delirious Museum

Un viaggio dal Louvre a Las Vegas

Calum Storrie

pagine: 256 pagine

Indossando i panni sia del flâneur che del situazionista, Calum Storrie si imbarca in un immaginario percorso alla scoperta di città ed epoche diverse che lo porta a perlustrare una serie di ambienti – luoghi pubblici, architetture, ma anche mostre storiche e opere d’arte – tutti possibili incarnazioni del concetto di “museo delirante”.
Corpo delle immagini, immagini del corpo - Tableaux vivants da san Francesco a Bill Viola
Quella dei tableaux vivants è una storia antica quanto il Pigmalione immortalato da Ovidio. Una storia che si dipana nei secoli abbracciando pratiche tanto lontane fra loro come le sacre rappresentazioni medievali – che di celebrazione in celebrazione si fanno sempre più profane – e le più recenti videoinstallazioni di Bill Viola che ricreano le visioni manieriste di Pontormo. Si tratta di figurazioni statiche in cui modelli o attori, disposti in pose espressive, restituiscono l’immagine di dipinti o sculture celebri. Presupposto comune a tutti i tableaux vivants, del resto, è che a fungere da modello sia l’arte, non la vita. E forse proprio per questo suo status di arte nata dall’arte, contaminata, per giunta, da generi e sottogeneri popolari, quella dei “quadri viventi” è stata spesso ritenuta una pratica secondaria nel novero delle arti visive. Essa però ha saputo sopravvivere assecondando il mutare dei tempi e dei codici culturali, forte di quella caratteristica che da sempre l’ha marginalizzata: il suo non essere riconducibile ad alcun canone, oscillando senza sosta tra normatività accademica e puro intrattenimento. In questo suo perenne rinnovarsi, il tableau vivant si intreccia anche con le sperimentazioni fotografiche e filmiche (da Rejlander e von Gloeden ad Artaud e Pasolini), con la danza e il teatro (da Isadora Duncan a Grotowski) fino a incarnarsi nelle performance di Luigi Ontani, Gilbert & George e Cindy Sherman. La profusione di autori che continuano a dedicarvisi dimostra come il genere, ormai consolidato stabilmente nel repertorio dei linguaggi contemporanei, sia oggi più vivo che mai. Flaminio Gualdoni ci accompagna in un excursus brioso, colto e traboccante di aneddoti lascivi e personaggi indimenticabili. Come Lady Hamilton, avvenente giovane dal passato tumultuoso che, sposa del suo pigmalione, diventa esperta nell’impersonare figure dell’iconografia classica: le sue attitudes, lente pantomime silenziose elogiate da Goethe, eternate da Tischbein e ammirate da aristocratici, artisti e scrittori, codificano il genere in un orizzonte situato tra rispettabilità dell’arte, bon ton del gusto borghese e marketing sessuale.
Scopri

Corpo delle immagini, immagini del corpo

Tableaux vivants da san Francesco a Bill Viola

Flaminio Gualdoni

pagine: 192 pagine

Quella dei tableaux vivants è una storia antica quanto il Pigmalione immortalato da Ovidio. Una storia che si dipana nei secoli abbracciando pratiche tanto lontane fra loro come le sacre rappresentazioni medievali – che di celebrazione in celebrazione si fanno sempre più profane – e le più recenti videoinstallazioni di Bill Viola che ricrean

Inserire il codice per il download.

Inserire il codice per attivare il servizio.