fbevnts Fotografia - tutti i libri per gli amanti del genere Fotografia - Johan & Levi Editore | Pagina 2
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Fotografia

Paolo Gioli - Cronologie
Figura anomala nella scena italiana e internazionale, pionieristico sperimentatore all’incrocio tra pittura, fotografia e cinema, Paolo Gioli (1942) crea immagini senza tempo condensando una vasta iconografia in una serie di virtuose operazioni con le tecniche artistiche e fotografiche. La sua opera rompe ogni vincolo disciplinare e si sviluppa come un laboratorio in cui si intrecciano meditazioni che investono numerosi campi.Dagli studi di pittura e nudo a Venezia nei primi anni sessanta, alla scoperta, dopo un soggiorno negli Stati Uniti, dell’avanguardia artistica, della fotografia, del cinema sperimentale, e poi in oltre mezzo secolo di prolifica e magmatica attività, Gioli si è sempre mosso come un archeologo mediale, snodandosi tra lo studio delle immagini e l’osservazione del corpo umano nei suoi aspetti anatomici, estetici, ideologici, erotici. Se i suoi primi film stabiliscono un’analogia sostanziale tra la celluloide e l’epidermide come interfaccia sensibile tra l’io e il mondo esterno, i transfer da Polaroid usano il corpo e i suoi frammenti come mezzo per esaminare la storia e le fondamenta teoriche della fotografia. Altri cicli di opere, come gli autoritratti, gli “sconosciuti”, le “figure dissolute” o quelle “luminescenti”, aprono a una chiave narrativa ed esistenziale, che sconfina nel cinema allo stesso modo in cui alcuni film, come quelli stenopeici o quelli “a contatto”, sono, nella loro concezione e struttura, delle operazioni fotografiche.Questo saggio ripercorre l’attività di Gioli dai suoi esordi a oggi, interrogandone in modo sistematico le complesse ramificazioni mediali e intrecciando alla riflessione storica e teorica le parole dell’artista, che descrive analiticamente il suo metodo di lavoro.
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Paolo Gioli

Cronologie

Giacomo Daniele Fragapane

pagine: 142 pagine

Figura anomala nella scena italiana e internazionale, pionieristico sperimentatore all’incrocio tra pittura, fotografia e cinema, Paolo Gioli (1942) crea immagini senza tempo condensando una vasta iconografia in una serie di virtuose operazioni con le tecniche artistiche e fotografiche. La sua opera rompe ogni vincolo disciplinare e si sviluppa c
L'affaire Capa - Processo a un'icona
È il 1937 e la Spagna è dilaniata dalla guerra civile. A luglio un servizio della rivista Life traccia il funesto bilancio delle vite falciate in un anno di scontri e riproduce una fotografia destinata a fare il giro del mondo diventando un’icona dell’eroismo repubblicano: il Miliziano colpito a morte di Robert Capa. Lo scatto mette sotto gli occhi di tutti la morte in diretta di un combattente raggiunto in pieno volto da un proiettile nemico. Ma è davvero così? All’apice di un conflitto tanto radicalizzato sul piano ideologico, lo sguardo dei corrispondenti di guerra è necessariamente di parte.Dagli anni settanta tra i commentatori di quest’immagine s’insinua un sospetto e cominciano a emergere molti dubbi sulla sua veridicità. Si arriva addirittura a sostenere che sia il risultato di una vera e propria messinscena. L’opera che ha dato origine al mito del fotoreporter di guerra con la Leica al collo mentre si getta nella mischia sarebbe allora un falso? Si scatena così un vero e proprio “affaire Capa”, un processo a puntate al fotogiornalismo che vede accusatori e difensori coinvolti in un’accesa disputa sul luogo della tragedia, sull’identità del miliziano ucciso e sulla sequenza degli scatti realizzati. Il baricentro di tutte le argomentazioni avanzate dalle parti in causa è sempre l’autenticità, sacro requisito del fotogiornalismo.Con l’abilità di un investigatore Vincent Lavoie ricompone un mosaico di testimonianze dirette, ricerche documentali e perizie criminalistiche, ma anche di incongruenze, negativi falsificati e depistaggi. Un’indagine sulla verità in fotografia incisiva e avvincente che ripercorre le tappe di una controversia senza precedenti e che, in tempi di fake news e di reiterata manipolazione delle immagini, si rivela di una folgorante attualità.
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L'affaire Capa

Processo a un'icona

Vincent Lavoie

pagine: 167 pagine

È il 1937 e la Spagna è dilaniata dalla guerra civile. A luglio un servizio della rivista Life traccia il funesto bilancio delle vite falciate in un anno di scontri e riproduce una fotografia destinata a fare il giro del mondo diventando un’icona dell’eroismo repubblicano: il Miliziano colpito a morte di Robert Capa. Lo scatto mette sotto gli
L'altra Italia - Racconto per immagini delle aree interne del paese
Narrazione visiva delle aree interne del paese, dall’Arco Alpino lungo tutto l’Appennino fino alle isole, L’altra Italia documenta un paesaggio vulnerabile, ai margini dei grandi agglomerati metropolitani fatti di infrastrutture, servizi e connessioni a banda larga. È l’Italia dei borghi e dei piccoli centri, con oltre 4.000 comuni che rappresentano il 60% del territorio nazionale e il 25% della popolazione. Un paesaggio arcaico, crudo, essenziale, tanto lontano dalle rotte turistiche delle riviste patinate quanto vicino a una dimensione primigenia. Si tratta di territori accomunati dalle stesse dinamiche di spopolamento e impoverimento del tessuto economico eppure ricchi di risorse, depositari di un patrimonio naturalistico e culturale inestimabile, con peculiarità che differenziano il nostro paese rispetto al resto del tessuto urbano europeo.Il volume nasce come strumento di indagine conoscitiva a supporto di Arcipelago Italia, il progetto espositivo di Mario Cucinella per il Padiglione Italia alla 16. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Con un’accuratezza documentaria che travalica la semplice rappresentazione dell’esistente per osservare i mutamenti del territorio e le tendenze in atto, questi quadri di paesaggio si collocano lungo il solco delle visioni di pasoliniana memoria, disegnando una geografia umanistica che rivaluta l’esperienza personale e la quotidianità del vissuto da diversi punti di vista: sostenibilità e ambiente, inclusione sociale e condivisione dei patrimoni immateriali, terremoti e memoria collettiva, lavoro e salute, rigenerazione e creatività contemporanea.Pur nella diversità dell’approccio, gli architetti-fotografi del collettivo Urban Reports si pongono di fronte al paesaggio senza alcun sensazionalismo: la loro è una fotografia che coglie lo spirito dei luoghi, le stratificazioni secolari, le sfumature e i dettagli, che legge le intersezioni di senso al di sotto degli aspetti visibili e materiali. Cinque le mete del loro viaggio: l’Appennino tosco-emiliano e il Parco delle Foreste Casentinesi; Camerino e il cratere, con la zona dell’Italia centrale colpita dal terremoto del 2016; la Valle del Basento nel Materano; la Valle del Belice e in particolare Gibellina, nella Sicilia occidentale in provincia di Trapani; la Barbagia con la piana di Ottana, nella regione centrale della Sardegna che si estende lungo i fianchi del massiccio del Gennargentu.Il lavoro di Urban Reports fa emergere una realtà molto più ricca e multiforme rispetto a quella ufficiale del paese, dove la risorsa principale di un territorio sono le persone, le conoscenze e le competenze di cui esse sono portatrici, e chiama architetti, urbanisti, progettisti e amministratori locali all’impegno per lo sviluppo di piani di rilancio capaci di rivitalizzare il tessuto sociale esistente, interagire e attivare dinamiche positive con le comunità locali di queste aree.Il volume nasce dalla campagna fotografica del collettivo Urban Reports per Arcipelago Italia, progetto curatoriale di Mario Cucinella per il Padiglione Italia alla 16. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia realizzato con il contributo della Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del MiBACT.Con testi di Marco Belpoliti
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L'altra Italia

Racconto per immagini delle aree interne del paese

Urban Reports

pagine: 168 pagine

Narrazione visiva delle aree interne del paese, dall’Arco Alpino lungo tutto l’Appennino fino alle isole, L’altra Italia documenta un paesaggio vulnerabile, ai margini dei grandi agglomerati metropolitani fatti di infrastrutture, servizi e connessioni a banda larga. È l’Italia dei borghi e dei piccoli centri, con oltre 4.000 comuni che rap
Duchamp oltre la fotografia - Strategie dell'infrasottile
Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla poetica duchampiana dell’indifferenza e del non fare. Non a caso egli abbandona il disegno e la pittura più tradizionali – colpevoli di fermarsi al retinico, cioè a una sensorialità e quindi anche a una scelta dettata dal gusto – per abbracciare un’attitudine “infrasottile”, categoria che racchiude quanto sfugge alla percezione umana e che può essere colto unicamente con l’ausilio della materia grigia. L’immagine – in primis quella fotografica – non è mai solo quello che è, né mostra solo ciò che rappresenta. Al contrario, è una porta su qualcos’altro, una breccia in quella quarta dimensione su cui Duchamp si arrovella senza requie: essa richiede allo spettatore un supplemento di attenzione, un secondo sguardo che non si fermi alle apparenze, dietro le quali, come nel gioco degli scacchi, un gambetto è in agguato. Sarebbe ingannevole, per esempio, considerare le numerose apparizioni fotografiche di Duchamp – la sua tonsura a stella immortalata da Man Ray, l’artista seduto a un tavolino e mentre cammina per strada nelle celebri immagini di Ugo Mulas, o ancora lo strabiliante Marcel Duchamp all’età di 85 anni – come tradizionali ritratti d’autore o di circostanza. Nascono invece dall’azione combinata di chi sta davanti e dietro la macchina fotografica, in un complesso gioco di rimandi dove le allusioni impalpabili eppure cruciali all’arte di Duchamp non lasciano dubbi sulla loro intenzionalità come opere. Elio Grazioli documenta i casi in cui la fotografia e la riflessione su di essa fanno capolino nell’opera dell’artista e ne indaga le risonanze all’interno del sistema duchampiano. Un sistema in cui ciascun elemento entra a pieno titolo in una strategia complessiva che prescinde dalla diversità dei materiali e anticipa un modo di fare arte che è oggi fra i più diffusi: quello di non specializzarsi in un solo linguaggio ma di metterli tutti al servizio di un’idea.
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Duchamp oltre la fotografia

Strategie dell'infrasottile

Elio Grazioli

pagine: 88 pagine

Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla
Robert Mapplethorpe - Fotografia a mano armata
New York, autunno 1978. Giovedì sera, alle otto spaccate, Robert Mapplethorpe, elegante e sfrontato nella sua giacca di pelle nera, scende le scale e fa il suo ingresso nella sala principale del famigerato Mineshaft, il brulicante club sotterraneo per soli uomini tempio e ricettacolo di ogni forma di perversione. È il decennio famelico e scintillante dell’emancipazione gay: arte e sesso sono legati a doppio filo e il pronostico warholiano sui quindici minuti di celebrità è un imperativo esistenziale. Mapplethorpe, il fotografo scandaloso e provocatorio per eccellenza, brandisce la sua Hasselblad come fosse un revolver e mira dritto al lato oscuro di quegli anni, di cui è insieme testimone e protagonista: nudi statuari o corpi fasciati in latex e corde, scene leather e pratiche feticiste, fino agli autoritratti luciferini. Un “fuorilegge” venuto dall’Inferno, che ha preso d’assalto i dogmi della società americana e diventato, nonostante i tentativi di censura, uno tra gli artisti più acclamati del Ventesimo secolo dopo la sua morte per AIDS nel 1989. Questa di Jack Fritscher – amante e compagno di Mapplethorpe alla fine degli anni settanta e direttore della prima rivista che pubblicò le sue controverse immagini – non è una biografia in senso stretto: è il ritratto di un’epoca dal cuore selvaggio, raccontata nei suoi estremi e bizzarrie attraverso una scrittura sincopata, ironica, fatta di dialoghi fulminei e ritratti allucinati.Ma è soprattutto un collage intimo e personale di ricordi, incontri, amori, vizi, ossessioni, malattie, amicizie illustri, divagazioni liriche, scene di vita quotidiana e cronache audaci, che lascia emergere il profilo di un uomo vulnerabile, di purezza cristallina e allo stesso tempo ambizioso e spavaldo, sempre intento ad alimentare la mistica della sua immagine pubblica. Robert Mapplethorpe amava il rischio, nella vita e nell’arte, e rincorrendo il pericolo, ha fatto della sua stessa esistenza una sequenza di “scatti perfetti”.
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Robert Mapplethorpe

Fotografia a mano armata

Jack Fritscher

pagine: 352 pagine

New York, autunno 1978. Giovedì sera, alle otto spaccate, Robert Mapplethorpe, elegante e sfrontato nella sua giacca di pelle nera, scende le scale e fa il suo ingresso nella sala principale del famigerato Mineshaft, il brulicante club sotterraneo per soli uomini tempio e ricettacolo di ogni forma di perversione. È il decennio famelico e s
Un desiderio ardente - Alle origini della fotografia
Prima ancora che come tecnologia, la fotografia si manifesta agli esordi come desiderio di fissare le immagini prodotte nella camera obscura. Un desiderio già attestato in Dürer e ben radicato nel mito originario dell’arte, ma avvertito con forza crescente tra il tardo Settecento e l’inizio dell’Ottocento quando, nell’ambito della ridefinizione romantica di spazio, tempo e soggettività, emergono le condizioni che renderanno possibili le prime realizzazioni concrete del procedimento fotografico e la nascita “ufficiale” del medium. Un’invenzione preannunciata da secoli di complesso rapporto tra arte e realtà, ma che è di fatto il prodotto di un contesto estetico, sociale e culturale. L’incentivo della modernità industrializzata, con il suo investimento nella logica della produzione di massa, mette in moto le ricerche di scienziati, sperimentatori e artisti di paesi e culture diversi culminate poi nelle creazioni di Talbot, Niépce, Daguerre, Bayard e degli altri protofotografi mossi, in parallelo e in contemporanea, dal desiderio di trattenere con ogni mezzo i “disegni della natura”. Un desiderio ardente è una meditazione sulla questione delle origini della fotografia oltre che sulla sua identità: ispirato dalla genealogia di Foucault e dalla decostruzione di Derrida, Batchen ne riscrive la storia da un punto di vista nuovo. Non per chiedersi banalmente chi sia stato il primo a “inventare” il processo ma per operare una ricognizione più ampia, che indaghi il concepimento dell’idea stessa di fotografia cogliendo nel pensiero e nel discorso spesso figurato degli inizi tutta la ricchezza e la complessità del medium. Un pensiero e un discorso che, come la fotografia, oscillano tra natura e cultura in maniera problematica e suggestiva, e vibrano delle ambiguità e delle risonanze profonde di quel desiderio che ha cambiato per sempre il nostro modo di guardare il mondo.
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Un desiderio ardente

Alle origini della fotografia

Geoffrey Batchen

pagine: 256 pagine

Prima ancora che come tecnologia, la fotografia si manifesta agli esordi come desiderio di fissare le immagini prodotte nella camera obscura. Un desiderio già attestato in Dürer e ben radicato nel mito originario dell’arte, ma avvertito con forza crescente tra il tardo Settecento e l’inizio dell’Ottocento quando, nell’ambito della ridefin
Nadar - Un bohémien introverso
L’eccentrico Baudelaire con l’estroso fiocco nero annodato sulla camicia immacolata, lo sguardo fiero e inflessibile di Victor Hugo da vecchio o il fascino magnetico di Sarah Bernhardt, ancora ventenne. Difficile non conoscere i ritratti fotografici di Félix Tournachon, in arte Nadar, abile come nessun altro nel cogliere la “sembianza intima” dei suoi contemporanei nella Parigi della seconda metà dell’Ottocento.Nato sotto la Restaurazione e uscito di scena alla vigilia della Grande Guerra, Nadar visse quasi un secolo da personaggio pubblico di primo piano. In questa biografia Stéphanie de Saint Marc ci svela gli altri volti del grande fotografo, incarnazione di un “paradosso vitale dalle mille sfumature”: i turbolenti esordi che spiazzarono l’opinione pubblica con le prime, pioneristiche vignette, contribuendo alla nascita della petite presse, la futura stampa scandalistica; i “colpi di testa”, come quel mattino di marzo del 1848 in cui mollò tutto e, a piedi, partì con l’esercito francese alla volta della Polonia per liberarla dall’invasore russo; l’insaziabile spirito d’avventura che lo portò prima in cielo, a fotografare le nuvole a bordo di un pallone aerostatico, e poi giù nelle viscere della terra, a immortalare le catacombe di Parigi utilizzando una sorta di flash ante litteram; il carattere goliardico di un artista chiacchierato «che in cinque minuti passava al tu e aveva ottomila amici», ma al contempo introverso, incapace di avere rapporti equilibrati con le persone a lui più care.«Toro per la forza, pesce per la liquida duttilità con cui si insinuava ovunque, malizioso come una scimmia, uccello capace di conquistare l’aria e infine cervo per la sua indipendenza altera»: Nadar è stato tutte queste cose insieme, osservatore e interprete di una modernità che gli deve molto più di quanto creda.
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Nadar

Un bohémien introverso

Stéphanie de Saint Marc

pagine: 300 pagine

L’eccentrico Baudelaire con l’estroso fiocco nero annodato sulla camicia immacolata, lo sguardo fiero e inflessibile di Victor Hugo da vecchio o il fascino magnetico di Sarah Bernhardt, ancora ventenne. Difficile non conoscere i ritratti fotografici di Félix Tournachon, in arte Nadar, abile come nessun altro nel cogliere la “sembianza intima
Hard Media - La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web
Che cos’è la pornografia? Un mero fenomeno sociologico o addirittura una categoria estetica? E soprattutto: com’è cambiata la rappresentazione pornografica negli ultimi anni con l’evoluzione dei media? Con un ampio saggio che abbraccia vari ambiti della realtà contemporanea – dalla fotografia alla televisione, dalle arti visive al cinema, dalle performance al web –, Bruno Di Marino indaga le molteplici sfaccettature della scrittura dell’osceno: un’approfondita disamina storico-critica dall’Origine du monde ci porta, attraverso gli oggetti di Duchamp, le “stagioni” di Man Ray e le performance erotico-politiche, fin dietro le quinte del porno con le fotografie di Sultan e Greenfield-Sanders; approdiamo, quindi, al grande schermo con il fortunato connubio fra cinema sperimentale e mondo X-Rated nelle pellicole calde di maestri come Gioli e Warhol, con il found-footage pornografico e le nuove frontiere della videoarte e dei videoclip; infine, il decisivo passaggio dal privé alla rete, con il dischiudersi dell’universo infinito di YouPorn e la moltiplicazione di pratiche di scambio fra reale e immateriale sempre più ardite.Negli ultimi due decenni si è dunque assistito a un processo di normalizzazione e insieme spettacolarizzazione della pornografia che ha definitivamente violato il suo tabù, anche – anzi, soprattutto – per il pubblico femminile, provocando un aumento incontrollato della produzione amatoriale e, di conseguenza, una crisi dell’hard professionale. Divenuta un archivio ipermediale frammentario e illimitato di forme, codici, linguaggi e immagini, la pornografia è ormai un mondo a cavallo tra fiction e realtà, che rischia di trasformare in una messa in scena perfino aspetti essenziali della quotidianità.
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Hard Media

La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web

Bruno Di Marino

pagine: 184 pagine

Che cos’è la pornografia? Un mero fenomeno sociologico o addirittura una categoria estetica? E soprattutto: com’è cambiata la rappresentazione pornografica negli ultimi anni con l’evoluzione dei media? Con un ampio saggio che abbraccia vari ambiti della realtà contemporanea – dalla fotografia alla televisione, dalle arti visive al cinem
Joachim Schmid e le fotografie degli altri
Joachim Schmid (Balingen, 1955), paradossalmente soprannominato “il fotografo che non fotografa”, lavora con la fotografia dai primi anni ottanta senza produrre alcuna immagine propria. «Nessuna nuovafotografia finché non siano state utilizzate quelle già esistenti!» ha infatti dichiarato nel 1989 in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’invenzione di questo mezzo espressivo, un principio a cui è rimasto fedele fino a oggi.In un’odierna “civiltà dell’immagine” caratterizzata da una crescente proliferazione di fotografie, ai limiti dell’assuefazione e del non-senso, Schmid ha deciso di sospendere la produzione e di limitarsi a cercare, raccogliere e riutilizzare fotografie già esistenti e scattate da altri. Un materiale sconfinato che include anche figurine, inviti di mostre, manifesti, cartoline, immagini trovate ai mercatini delle pulci o negli archivi, immagini scaricate da siti Internet e social network. L’artista tedesco le preleva dal grande flusso della comunicazione contemporanea, le archivia, se ne appropria, le associa tra loro, talvolta manipolandole, in cerca di nuovi possibili significati.Collezionista, entusiasta del riciclaggio, catalogatore ed ecologista piuttosto che fotografo, dunque, Schmid ha lasciato il segno nel dibattito teorico in merito a questo mezzo espressivo fondendo nella sua posizione due temi fondamentali dell’arte contemporanea: da un lato l’idea del readymade duchampiano, dall’altra quella della “morte dell’autore” formulata da Roland Barthes. Avendo indagato tutte le pratiche fotografiche diffuse a livello di massa e tutti i diversi linguaggi a esse connessi, Joachim Schmid è probabilmente la persona che negli ultimi decenni ha visto, ma soprattutto utilizzato, più immagini di ogni altro uomo al mondo. E così il suo nuovo, ironico motto oggi è: «Per favore non smettete di fotografare».
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Joachim Schmid e le fotografie degli altri

pagine: 88 pagine

Joachim Schmid (Balingen, 1955), paradossalmente soprannominato “il fotografo che non fotografa”, lavora con la fotografia dai primi anni ottanta senza produrre alcuna immagine propria. «Nessuna nuovafotografia finché non siano state utilizzate quelle già esistenti!» ha infatti dichiarato nel 1989 in occasione del centocinquantesimo anniver
La Scuola di Düsseldorf - Fotografia contemporanea tedesca
Negli ultimi decenni la fotografia è assurta a simbolo internazionale della produzione artistica di Düsseldorf: la consolidata Scuola di Düsseldorf rappresenta oggi l’eccellenza di questo mezzo, che articola nel modo più variegato e innovativo. Allo straordinario successo del fenomeno, sviluppatosi in un contesto geografico e artistico ben preciso, non era seguita fino ad ora una trattazione approfondita. Il presente volume intende colmare la lacuna affrontando con organicità un movimento made in Germany che, per portata e risonanza globale, è paragonabile soltanto al Bauhaus negli anni venti del Novecento.Ne furono artefici Bernd e Hilla Becher, che istituirono la Classe di fotografia alla Kunstakademie di Düsseldorf nel 1976, proprio mentre la loro produzione basata su “tipologie” si stava affermando sulla scena artistica tedesca e internazionale.Partendo dal processo di rinnovamento della fotografia documentaria perseguito dai Becher con estrema coerenza e impegno, le tre generazioni di artisti della Scuola di Düsseldorf hanno considerevolmente ampliato la visione fotografica inoltrandosi con le loro opere nei territori della sperimentazione multimediale e dell’arte digitale.Oggi le opere degli ex allievi dei Becher, accolte nei principali musei internazionali e molto quotate sul mercato, sono una finestra aperta sugli sviluppi futuri della fotografia d’arte.Undici diverse posizioni estetiche, undici stili personali nello scandagliare le potenzialità del mezzo fotografico riuniti in un libro che presenta le immagini più significative selezionate insieme ai singoli artisti.Nel testo critico Stefan Gronert (1964) esamina il fenomeno soffermandosisui singoli protagonisti della Scuola di Düsseldorf. Storico dell’arte, curatore al Kunstmuseum di Bonn dal 1993, docente al Kunsthistorisches Institut dell’Università di Bonn dal 2001 nonché professore a contratto nelle università di Dresda e Colonia, ha dedicato numerose pubblicazioni e interventi alla fotografia del XX e XXI secolo.Prefazione di Lothar Schirmer.
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La Scuola di Düsseldorf

Fotografia contemporanea tedesca

Stefan Gronert

pagine: 320 pagine

Negli ultimi decenni la fotografia è assurta a simbolo internazionale della produzione artistica di Düsseldorf: la consolidata Scuola di Düsseldorf rappresenta oggi l’eccellenza di questo mezzo, che articola nel modo più variegato e innovativo. Allo straordinario successo del fenomeno, sviluppatosi in un contesto geografico e artistico ben p

Biblioteche

Candida Höfer

pagine: 272 pagine

Le biblioteche sono luoghi spirituali: santuari del sapere, templi della saggezza, oasi di silenzio. Dalle splendide biblioteche monastiche barocche, agli archivi secolari delle più prestigiose università, dai più ricchi gabinetti dei principi illuminati fino alle architetture più funzionali e sobrie, tutte sono permeate da una sorta di sacral

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