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Johan & Levi

Elogio di "Funny Guy" Picabia, inventore della Pop Art
Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art prende spunto dal ritrovamento postumo di un corpus di dodici disegni di Francis Picabia risalenti al 1923 realizzati a inchiostro su carta per illustrare le copertine della rivista Littérature, fondata e diretta da André Breton. Per questi disegni, rimasti inediti, Picabia si appropria delle immagini pubblicitarie di una rivista o della brochure di un grande magazzino, le copia e fornisce nome e prezzo esatto di vendita di ciascun articolo. Semplice materiale pubblicitario su cui Picabia appone le proprie iniziali, per ironizzare forse sulla sua scarsa capacità di vendersi e forse anche per sdrammatizzare l’insuccesso della sua mostra alla galleria Dalmau di Barcellona, di cui Breton fu testimone. Essi rappresentano una svolta stilistica e tematica rispetto ai progetti realizzati fino a quel momento dall’artista. Picabia usa per la prima volta una strategia commerciale come strategia di sovversione artistica; eleva cioè la volgare propaganda commerciale a opera d’arte. Così facendo inventa la Pop Art e diventa precursore di Warhol, Lichtenstein e Rosenquist. In questo testo Lebel ricostruisce il contesto e le circostanze in cui furono realizzati i disegni. Gli anni 1922-23 sono quelli dell’implosione del movimento Dada e del suo slittamento nel Surrealismo, dell’esperienza della rivista Littérature (terreno di confronto e scontro per gli artisti e scrittori coinvolti), dell’amicizia e collaborazione tra Picabia e Breton, di un viaggio in macchina per Barcellona in occasione della mostra alla galleria Dalmau, preceduta da una conferenza all’Ateneu barcelonés.Non è un testo per specialisti e pur trattando una parte molto specifica e poco conosciuta della produzione debordante e caleidoscopica di Picabia, l’autore riesce a introdurre anche un lettore generico all’universo di questo artista e al contesto in cui operò. Lebel non è un detrattore della Pop Art americana: Warhol e gli altri artisti pop non avevano mai visto i disegni di Picabia che all’epoca non erano ancora stati ritrovati. Il testo quindi non vuole in nessun modo insinuare che gli americani abbiano “rubato” l’idea a Picabia.Corredano il testo una lettera inedita di Picabia a Breton, data 1923, e un disegno dello stesso anno, sempre inedito, che accompagnava la lettera.  
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Elogio di "Funny Guy" Picabia, inventore della Pop Art

Jean-Jacques Lebel

pagine: 52 pagine

Elogio di “Funny Guy” Picabia, inventore della Pop Art prende spunto dal ritrovamento postumo di un corpus di dodici disegni di Francis Picabia risalenti al 1923 realizzati a inchiostro su carta per illustrare le copertine della rivista Littérature, fondata e diretta da André Breton. Per questi disegni, rimasti inediti, Picabia si appropria d

Di tutto un pop

Un percorso fra arte e scrittura nell'opera di Mike Kelley

Marco Enrico Giacomelli

pagine: 72 pagine

Noto principalmente come artista visivo, Mike Kelley è stato in realtà una figura poliedrica e incontenibile. Oltre a utilizzare i mezzi espressivi più diversi – dal disegno al video, dalla performance all’installazione – egli ha spesso superato i tradizionali confini dell’opera inglobando la scrittura nel processo creativo, per poi giun
She - La figura femminile nel lavoro di Adrian Paci
Con le sue opere, Adrian Paci costruisce racconti per immagini che fondono l’unicità dell’esperienza quotidiana con la storia della pittura, del cinema e della letteratura. Il suo lavoro è una riflessione su temi come la perdita, il movimento delle persone nello spazio, l’abbandono della propria terra e la ricerca di un altrove umano e geografico. Paci utilizza la fotografia, la scultura e il video servendosi di tecniche e materiali diversi, raggiungendo così una notevole libertà di espressione e stile. Sullo sfondo di queste narrazioni è spesso inserita o semplicemente evocata, la presenza di una o più figure femminili che paiono essere meno protagoniste della scena e più depositarie di un mistero che l’artista non svela. Ma qual è il ruolo della figura femminile in quest’affascinante epos visiva? SHE nasce dal desiderio di approfondire questo aspetto della ricerca di Paci attraverso l’analisi di alcune opere scelte in relazione al tema. Il libro, arricchito da un inedito e originale intervento dell’artista, è il risultato del confronto tra Paci e Paola Nicolin, occasione per ragionare sulla presenza, visibile o invisibile, della figura femminile che dà consistenza umana alla narrazione: alla donna è spesso affidato il compito di essere la depositaria della memoria, delle tradizioni, di essere il perno attorno al quale ruota l’intreccio degli episodi umani che concorrono alla costruzione di un’identità inesorabilmente in transito, l’alternanza tra crisi, alienazione, abbandoni e ritorni cui è sottoposta la vita di tutti noi.
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She

La figura femminile nel lavoro di Adrian Paci

Paola Nicolin

pagine: 86

Con le sue opere, Adrian Paci costruisce racconti per immagini che fondono l’unicità dell’esperienza quotidiana con la storia della pittura, del cinema e della letteratura. Il suo lavoro è una riflessione su temi come la perdita, il movimento delle persone nello spazio, l’abbandono della propria terra e la ricerca di un altrove umano e geog
Arte Programmata cinquant’anni dopo
A cinquant’anni dalla prima mostra di Arte Programmata (Milano, 1962), l’autore propone una riflessione su ciò che resta di un esperimento di neoavanguardia che ha tentato di coniugare  teoria della percezione e produzione industriale. Voluta da Bruno Munari, presentata da Umberto Eco, sponsorizzata dalla Olivetti, l’Arte Programmata non è solo un movimento italiano riconducibile al più vasto mondo dell’arte cinetica, ma un vero e proprio tentativo di definizione del campo dell’arte, ai tempi della società industriale e cittadina, che muove dal nuovissimo concetto – per allora – di “programmazione”, attorno a cui ruotava tutto il dibattito interno agli intellettuali vicini alla Olivetti, che proprio in quegli anni era all’avanguardia nel campo dei piccoli processori elettronici. Superato un lungo periodo di oblio e di silenzio, oggi l’Arte Programmata gode di nuovo favore, e di un rinnovato interesse critico, storico e di mercato: perché sta avvenendo ciò? Cosa rende ancora attuale quel movimento? Quale movimento di nostalgia e di “revival” riesce a innescare tutt’oggi? Un’agile riflessione che passa senza soluzione di continuità dagli anni Sessanta ad oggi che cerca di dare una risposta alle ragioni di questo successo, e contemporaneamente indaga sulle possibilità di un’utopia legata al concetto di “arte industriale”, mentre riflette su quella definizione di “arte”, il vero motivo che è riuscito a trascendere il mezzo secolo che ci separa dalla sua prima uscita.
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Arte Programmata cinquant’anni dopo

Marco Meneguzzo

pagine: 76 pagine

A cinquant’anni dalla prima mostra di Arte Programmata (Milano, 1962), l’autore propone una riflessione su ciò che resta di un esperimento di neoavanguardia che ha tentato di coniugare  teoria della percezione e produzione industriale. Voluta da Bruno Munari, presentata da Umberto Eco, sponsorizzata dalla Olivetti, l’Arte Programmata non è
Louvre, mon amour - Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo
È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale del museo parigino. Nessuno degli invitati si tirò indietro e la verità che ne emerse è valida tutt’oggi: ben lungi dal rappresentare una tortura, il Louvre esercita sull’artista un richiamo inesauribile nel tempo. Né scoraggiato né sollevato – semmai sedotto – dall’abisso che lo separa dai giganti che vi dimorano, solo l’artista sa interrogarli e intrattenere con loro un dialogo fra pari.Schneider registra ogni commento, ogni gesto, perfino i silenzi e gli umori altalenanti dei suoi interlocutori, dei quali tratteggia in poche battute l’itinerario del pensiero. Poi, al momento giusto, la domanda insidiosa. Le cui risposte – a volte feroci, a volte ammirate, mai deferenti – rivelano un acume raro e una grande intimità con artisti anche molto distanti. Assistiamo, così, all’imprevedibile commozione di Chagall davanti a Courbet («un grande poeta»), alla sua stizza di fronte a Ingres («troppo leccato»), alla predilezione di Giacometti per l’autoritratto di Tintoretto («la testa più magnifica del Louvre»), allo stupore onomatopeico di Miró, che lancia fischi di ammirazione ai mosaici africani. Lo sguardo di ciascuno scivola sulle opere per scandagliarne la materia, commentarne la “chimica” e decretarne, infine, la tenuta nel tempo.In queste trascinanti passeggiate soffia uno spirito di riconciliazione fra vecchio e nuovo che mette in crisi l’idea del museo quale deposito di oggetti obsoleti, incapaci di parlare ai contemporanei. Ai suoi undici ospiti d’eccezione il Louvre appare, di volta in volta, come il libro da cui imparare a leggere, la palestra in cui irrobustirsi, una scuola per affinare la visione, il cimitero ideale, una macchina del tempo che azzera scarti millenari, un ponte fra passato e presente, ma soprattutto il luogo in cui è possibile misurarsi con quanto di più grande è stato creato dall’inizio dei tempi.
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Louvre, mon amour

Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo

Pierre Schneider

pagine: 192 pagine

È indispensabile dare fuoco al Louvre per affermarsi tra i maestri del proprio tempo? Per rispondere a questa domanda provocatoria, negli anni sessanta il critico d’arte Pierre Schneider invitò undici celebri artisti dell’epoca – fra cui Giacometti, Miró, Chagall, Steinberg – ad accompagnarlo, uno per volta, attraverso le sontuose sale d
Breve storia della globalizzazione in arte - (e delle sue conseguenze)
Da almeno un decennio il sistema dell’arte occidentale deve far fronte all’avanzata, sullo scacchiere mondiale, di nuovi soggetti che minacciano di imporre regole diverse, più congeniali ai loro mercati. Una svolta radicale negli equilibri si respirava già negli anni ottanta, quando l’arte è diventata un’opportunità economica dai potenziali globali. Grazie a linguaggi accessibili a tutti, il Postmodernismo ha conquistato un pubblico sempre più vasto, prosperando verso territori sconfinati: la febbrile impennata del desiderio di arte contemporanea ha preparato il terreno all’ascesa dell’opera a status symbol e ha allargato l’orizzonte a paesi come Cina, Russia e India in cerca di riconoscimenti nel consesso occidentale.L’euforia di quegli anni si è presto smorzata nell’attuale clima di incertezza causato dallo sfaldamento del vecchio assetto e dall’esautorazione delle sue componenti, quella intellettuale (il critico, che legittimava le pratiche artistiche) e quella istituzionale (il museo, che le consacrava per la posterità). Oggi a decretare il successo è lo spirito speculativo – in tutti i sensi – dei nuovi protagonisti che, con l’abilità di chi manovra grossi capitali, fanno il bello e il cattivo tempo nel circuito chiuso galleria-collezionista-casa d’aste-museo. Perfino l’artista, un tempo motore del sistema, rischia di essere ridotto a mero ingranaggio. Cosciente del contesto in cui opera, ha saputo assecondare il depauperamento indotto dalla globalizzazione: se in passato mirava all’innovazione, oggi aderisce a standard linguistici immediatamente riconoscibili in ogni angolo del mondo.Con un approccio storico volto a scandagliare il passato per cogliere le complesse trasformazioni in atto, Marco Meneguzzo individua lo spartiacque tra il prima e il dopo, cioè tra un’arte come fatto esclusivo ed elitario e un’arte come fenomeno popolare e globalizzato. Un breve saggio di ampio respiro per comprendere il tempo che stiamo vivendo e quello che ci aspetta: un futuro in bilico tra un mutamento soffice del sistema dell’arte (e della stessa concezione di arte) e una sua variante apocalittica.
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Breve storia della globalizzazione in arte

(e delle sue conseguenze)

Marco Meneguzzo

pagine: 176 pagine

Da almeno un decennio il sistema dell’arte occidentale deve far fronte all’avanzata, sullo scacchiere mondiale, di nuovi soggetti che minacciano di imporre regole diverse, più congeniali ai loro mercati. Una svolta radicale negli equilibri si respirava già negli anni ottanta, quando l’arte è diventata un’opportunità economica dai potenz
Il blog - Scritti, interviste, invettive, 2006-2009
Iniziato nel 2006 e chiuso d’autorità tre anni dopo, il blog dell’artista e architetto Ai Weiwei si è imposto all’attenzione internazionale come una delle testimonianze culturali e politiche più coraggiose della Cina contemporanea. Critico implacabile del potere, nel solco della tradizione degli “intellettuali pubblici” del Novecento, Ai ha ripreso nei suoi scritti le rivendicazioni di pluralismo soffocate nel sangue a piazza Tienanmen nel 1989, usando internet per denunciare le conseguenze materiali e morali ‒ occultate dalla propaganda di regime ‒ del modello di sviluppo cinese: la mancanza di diritti politici, il feroce sfruttamento del lavoro, la distruzione dell’ambiente e della memoria storica, la repressione violenta delle minoranze, l’arroganza impunita dei ricchi e dei potenti, il rigido controllo dell’opinione pubblica. Sfidando la censura, Ai Weiwei ha creato un’inedita forma di resistenza civile e culturale: nei suoi post si alternano critica e denuncia, si discutono le ultime novità artistiche, si additano impietosamente le ipocrisie ufficiali, si mettono a nudo con umorismo e forza polemica le menzogne, il cinismo, la rassegnazione indotti da un potere che tra paternalismo e mano dura mantiene i propri cittadini in un’eterna infanzia nella quale i riti consumistici hanno sostituito la mobilitazione permanente dell’epoca di Mao.Il blog di Ai Weiwei ora tradotto in italiano rappresenta anche una prova della forza di resistenza dell’arte, una scommessa sulla sua capacità rigeneratrice. Rinnovando l’impulso dell’avanguardia moderna, il diario digitale di Ai diventa un dispositivo di mobilitazione collettiva, una “scultura sociale” che oltrepassa i confini della creatività tradizionale per sollecitare domande urgenti sul ruolo e sulla responsabilità dell’artista, degli spettatori, di tutti noi. Una scultura viva, un agente di trasformazione del mondo grazie al quale la dimensione della moltitudine che caratterizza il nostro campo sociale può acquistare autoconsapevolezza e scoprire la propria forza, ritrovando il valore essenziale della verità e con esso la possibilità di un tempo e di uno spazio diversi, a misura di un’umanità più completa, e più libera.
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Il blog

Scritti, interviste, invettive, 2006-2009

Ai Weiwei

pagine: 392 pagine

Iniziato nel 2006 e chiuso d’autorità tre anni dopo, il blog dell’artista e architetto Ai Weiwei si è imposto all’attenzione internazionale come una delle testimonianze culturali e politiche più coraggiose della Cina contemporanea. Critico implacabile del potere, nel solco della tradizione degli “intellettuali pubblici” del Novecento,

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