fbevnts Saggi d'arte - tutti i libri della collana Saggi d'arte, Johan & Levi - Johan & Levi Editore | Pagina 6
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Johan & Levi: Saggi d'arte

Duchamp oltre la fotografia - Strategie dell'infrasottile
Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla poetica duchampiana dell’indifferenza e del non fare. Non a caso egli abbandona il disegno e la pittura più tradizionali – colpevoli di fermarsi al retinico, cioè a una sensorialità e quindi anche a una scelta dettata dal gusto – per abbracciare un’attitudine “infrasottile”, categoria che racchiude quanto sfugge alla percezione umana e che può essere colto unicamente con l’ausilio della materia grigia. L’immagine – in primis quella fotografica – non è mai solo quello che è, né mostra solo ciò che rappresenta. Al contrario, è una porta su qualcos’altro, una breccia in quella quarta dimensione su cui Duchamp si arrovella senza requie: essa richiede allo spettatore un supplemento di attenzione, un secondo sguardo che non si fermi alle apparenze, dietro le quali, come nel gioco degli scacchi, un gambetto è in agguato. Sarebbe ingannevole, per esempio, considerare le numerose apparizioni fotografiche di Duchamp – la sua tonsura a stella immortalata da Man Ray, l’artista seduto a un tavolino e mentre cammina per strada nelle celebri immagini di Ugo Mulas, o ancora lo strabiliante Marcel Duchamp all’età di 85 anni – come tradizionali ritratti d’autore o di circostanza. Nascono invece dall’azione combinata di chi sta davanti e dietro la macchina fotografica, in un complesso gioco di rimandi dove le allusioni impalpabili eppure cruciali all’arte di Duchamp non lasciano dubbi sulla loro intenzionalità come opere. Elio Grazioli documenta i casi in cui la fotografia e la riflessione su di essa fanno capolino nell’opera dell’artista e ne indaga le risonanze all’interno del sistema duchampiano. Un sistema in cui ciascun elemento entra a pieno titolo in una strategia complessiva che prescinde dalla diversità dei materiali e anticipa un modo di fare arte che è oggi fra i più diffusi: quello di non specializzarsi in un solo linguaggio ma di metterli tutti al servizio di un’idea.
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Duchamp oltre la fotografia

Strategie dell'infrasottile

Elio Grazioli

pagine: 88 pagine

Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla
Vedere l'invisibile - Saggio su Kandinsky
Ogni fenomeno è traccia materiale delle forze invisibili che l’hanno generato, fusione indissolubile di contenuto e forma, di elementi interiori ed esteriori. Così va intesa quella pittura che, affrancata da propositi figurativi, aspira a incarnare sensazioni, emozioni e passioni, in una parola: l’intima essenza della vita. Tale era il senso della rivoluzione operata all’alba del secolo scorso da Kandinsky, il fondatore della pittura astratta. Tale è l’oggetto di indagine di questo saggio di Michel Henry, il cui pensiero fenomenologico si snoda tutto attorno al tema della vita, quella vita che il “pioniere dei pionieri”, mira a rappresentare pittoricamente nella sua pulsante invisibilità. Non si tratta più di “astrarre da” qualche elemento del mondo visibile, né di cogliere un’esteriorità già di per sé costituita per restituirla in forma di immagine più o meno mimetica. La sfida è far venire alla luce qualcosa che prima non esisteva se non in una dimensione clandestina. Ma se il mezzo pittorico, per sua stessa definizione, è esibizione del visibile che si manifesta in forme e colori, come può dar corpo a una realtà nascosta alla vista? A partire dall’analisi dei testi teorici che hanno accompagnato lo sviluppo dell’arte astratta di Kandinsky e che ne costituiscono la via d’accesso privilegiata, Henry mostra come l’artista separi colore e linea dalle costrizioni della forma visibile: ogni linea è il prodotto di una forza, ogni colore è legato a una tonalità affettiva, a una sonorità interiore. Se siamo essenzialmente forza e affetto, allora linee e colori permettono al nostro essere più intimo di emergere. Più che dare avvio a un semplice movimento in pittura, l’astrazione di Kandinsky ci rivela dunque la verità profonda dell’arte, che in qualche misura è tutta astratta, svincolata da un’aderenza al mondo esterno. Cogliere i princìpi di questa rivoluzione equivale a comprendere che l’arte è l’espressione massima della potenza della vita e, in definitiva, la sua più esemplare oggettivazione.
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Vedere l'invisibile

Saggio su Kandinsky

Michel Henry

pagine: 176 pagine

Ogni fenomeno è traccia materiale delle forze invisibili che l’hanno generato, fusione indissolubile di contenuto e forma, di elementi interiori ed esteriori. Così va intesa quella pittura che, affrancata da propositi figurativi, aspira a incarnare sensazioni, emozioni e passioni, in una parola: l’intima essenza della vita. Tale era il senso
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Vedere l'invisibile - Saggio su Kandinsky
Ogni fenomeno è traccia materiale delle forze invisibili che l’hanno generato, fusione indissolubile di contenuto e forma, di elementi interiori ed esteriori. Così va intesa quella pittura che, affrancata da propositi figurativi, aspira a incarnare sensazioni, emozioni e passioni, in una parola: l’intima essenza della vita. Tale era il senso della rivoluzione operata all’alba del secolo scorso da Kandinsky, il fondatore della pittura astratta. Tale è l’oggetto di indagine di questo saggio di Michel Henry, il cui pensiero fenomenologico si snoda tutto attorno al tema della vita, quella vita che il “pioniere dei pionieri”, mira a rappresentare pittoricamente nella sua pulsante invisibilità. Non si tratta più di “astrarre da” qualche elemento del mondo visibile, né di cogliere un’esteriorità già di per sé costituita per restituirla in forma di immagine più o meno mimetica. La sfida è far venire alla luce qualcosa che prima non esisteva se non in una dimensione clandestina. Ma se il mezzo pittorico, per sua stessa definizione, è esibizione del visibile che si manifesta in forme e colori, come può dar corpo a una realtà nascosta alla vista? A partire dall’analisi dei testi teorici che hanno accompagnato lo sviluppo dell’arte astratta di Kandinsky e che ne costituiscono la via d’accesso privilegiata, Henry mostra come l’artista separi colore e linea dalle costrizioni della forma visibile: ogni linea è il prodotto di una forza, ogni colore è legato a una tonalità affettiva, a una sonorità interiore. Se siamo essenzialmente forza e affetto, allora linee e colori permettono al nostro essere più intimo di emergere. Più che dare avvio a un semplice movimento in pittura, l’astrazione di Kandinsky ci rivela dunque la verità profonda dell’arte, che in qualche misura è tutta astratta, svincolata da un’aderenza al mondo esterno. Cogliere i princìpi di questa rivoluzione equivale a comprendere che l’arte è l’espressione massima della potenza della vita e, in definitiva, la sua più esemplare oggettivazione.
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Vedere l'invisibile

Saggio su Kandinsky

Michel Henry

pagine: 176 pagine

Ogni fenomeno è traccia materiale delle forze invisibili che l’hanno generato, fusione indissolubile di contenuto e forma, di elementi interiori ed esteriori. Così va intesa quella pittura che, affrancata da propositi figurativi, aspira a incarnare sensazioni, emozioni e passioni, in una parola: l’intima essenza della vita. Tale era il senso
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Duchamp oltre la fotografia - Strategie dell'infrasottile
Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla poetica duchampiana dell’indifferenza e del non fare. Non a caso egli abbandona il disegno e la pittura più tradizionali – colpevoli di fermarsi al retinico, cioè a una sensorialità e quindi anche a una scelta dettata dal gusto – per abbracciare un’attitudine “infrasottile”, categoria che racchiude quanto sfugge alla percezione umana e che può essere colto unicamente con l’ausilio della materia grigia. L’immagine – in primis quella fotografica – non è mai solo quello che è, né mostra solo ciò che rappresenta. Al contrario, è una porta su qualcos’altro, una breccia in quella quarta dimensione su cui Duchamp si arrovella senza requie: essa richiede allo spettatore un supplemento di attenzione, un secondo sguardo che non si fermi alle apparenze, dietro le quali, come nel gioco degli scacchi, un gambetto è in agguato. Sarebbe ingannevole, per esempio, considerare le numerose apparizioni fotografiche di Duchamp – la sua tonsura a stella immortalata da Man Ray, l’artista seduto a un tavolino e mentre cammina per strada nelle celebri immagini di Ugo Mulas, o ancora lo strabiliante Marcel Duchamp all’età di 85 anni – come tradizionali ritratti d’autore o di circostanza. Nascono invece dall’azione combinata di chi sta davanti e dietro la macchina fotografica, in un complesso gioco di rimandi dove le allusioni impalpabili eppure cruciali all’arte di Duchamp non lasciano dubbi sulla loro intenzionalità come opere. Elio Grazioli documenta i casi in cui la fotografia e la riflessione su di essa fanno capolino nell’opera dell’artista e ne indaga le risonanze all’interno del sistema duchampiano. Un sistema in cui ciascun elemento entra a pieno titolo in una strategia complessiva che prescinde dalla diversità dei materiali e anticipa un modo di fare arte che è oggi fra i più diffusi: quello di non specializzarsi in un solo linguaggio ma di metterli tutti al servizio di un’idea.
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Duchamp oltre la fotografia

Strategie dell'infrasottile

Elio Grazioli

pagine: 88 pagine

Fin dagli esordi Duchamp ha intrecciato con la fotografia un rapporto fecondo che ha attraversato la sua opera a più livelli, caricando il medium di nuove potenzialità. Macchina che vede ma non sceglie, che preleva frammenti di realtà senza l’intervento diretto della mano dell’artista, l’apparecchio fotografico è del tutto congeniale alla
Una squisita indifferenza - Perché l'arte moderna è moderna
Un giorno del 1823, su un campo da calcio nel Nord dell’Inghilterra, un giocatore prese il pallone tra le braccia e, con squisita indifferenza per le regole del gioco, si mise a correre: aveva inventato il rugby. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti abbiano inventato l’arte moderna rifiutando tutte le norme della tradizione e liberandosi da quei vincoli che, come la prospettiva, formavano il linguaggio artistico comunemente accettato e capito. Ma non andò così: Degas, van Gogh, Rodin, Gauguin e Picasso non si limitarono a sottrarsi alle regole del gioco, ma proprio come l’inventore del rugby decisero di cogliere le possibilità che si nascondevano nell’arte tradizionale per creare un gioco nuovo con un nuovo sistema di regole. Kirk Varnedoe, con questo saggio brillante per scrittura e imprescindibile per ricchezza e profondità di analisi, ci offre una panoramica della nascita e degli sviluppi dell’arte moderna, elaborando un’interpretazione originale e sotto molti aspetti rivoluzionaria.Secondo lo studioso americano è semplicistico attribuire la nuova dimensione pittorica imboccata da Degas e van Gogh alle influenze della fotografia e della prospettiva piatta delle stampe giapponesi. Ed è altrettanto riduttivo interpretare il primitivismo di Gauguin e Picasso come un anelito romantico verso esotiche rappresentazioni di mondi lontani: la sua forza innovativa risulta invece dal libero confronto e scambio di forme che, sottratte ai loro contesti originari, danno vita a nuovi complessi di significati. L’analisi della frammentazione e serializzazione nelle sculture di Rodin si rivela una tappa fondamentale per far luce su come il percorso dell’arte astratta non riguardi soltanto una pura questione di forma. E l’improvvisa diffusione del punto di vista aereo nella pittura della Belle Époque e nelle avanguardie russe degli anni venti è uno degli strumenti che Varnedoe ci offre per capire non solo quanto sia dialettico il rapporto fra storia dell’arte e storia delle idee, ma perfino quale sia il legame che unisce le ballerine di Degas all’Espressionismo Astratto di Pollock e alle successive tendenze minimaliste.
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Una squisita indifferenza

Perché l'arte moderna è moderna

Kirk Varnedoe

pagine: 220 pagine

Un giorno del 1823, su un campo da calcio nel Nord dell’Inghilterra, un giocatore prese il pallone tra le braccia e, con squisita indifferenza per le regole del gioco, si mise a correre: aveva inventato il rugby. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti abbiano inventato l’arte moderna rifiutando tutte le norme della tradiz
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Una squisita indifferenza - Perché l'arte moderna è moderna
Un giorno del 1823, su un campo da calcio nel Nord dell’Inghilterra, un giocatore prese il pallone tra le braccia e, con squisita indifferenza per le regole del gioco, si mise a correre: aveva inventato il rugby. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti abbiano inventato l’arte moderna rifiutando tutte le norme della tradizione e liberandosi da quei vincoli che, come la prospettiva, formavano il linguaggio artistico comunemente accettato e capito. Ma non andò così: Degas, van Gogh, Rodin, Gauguin e Picasso non si limitarono a sottrarsi alle regole del gioco, ma proprio come l’inventore del rugby decisero di cogliere le possibilità che si nascondevano nell’arte tradizionale per creare un gioco nuovo con un nuovo sistema di regole. Kirk Varnedoe, con questo saggio brillante per scrittura e imprescindibile per ricchezza e profondità di analisi, ci offre una panoramica della nascita e degli sviluppi dell’arte moderna, elaborando un’interpretazione originale e sotto molti aspetti rivoluzionaria.Secondo lo studioso americano è semplicistico attribuire la nuova dimensione pittorica imboccata da Degas e van Gogh alle influenze della fotografia e della prospettiva piatta delle stampe giapponesi. Ed è altrettanto riduttivo interpretare il primitivismo di Gauguin e Picasso come un anelito romantico verso esotiche rappresentazioni di mondi lontani: la sua forza innovativa risulta invece dal libero confronto e scambio di forme che, sottratte ai loro contesti originari, danno vita a nuovi complessi di significati. L’analisi della frammentazione e serializzazione nelle sculture di Rodin si rivela una tappa fondamentale per far luce su come il percorso dell’arte astratta non riguardi soltanto una pura questione di forma. E l’improvvisa diffusione del punto di vista aereo nella pittura della Belle Époque e nelle avanguardie russe degli anni venti è uno degli strumenti che Varnedoe ci offre per capire non solo quanto sia dialettico il rapporto fra storia dell’arte e storia delle idee, ma perfino quale sia il legame che unisce le ballerine di Degas all’Espressionismo Astratto di Pollock e alle successive tendenze minimaliste.
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Una squisita indifferenza

Perché l'arte moderna è moderna

Kirk Varnedoe

pagine: 220 pagine

Un giorno del 1823, su un campo da calcio nel Nord dell’Inghilterra, un giocatore prese il pallone tra le braccia e, con squisita indifferenza per le regole del gioco, si mise a correre: aveva inventato il rugby. È opinione diffusa che intorno al 1860 alcuni artisti abbiano inventato l’arte moderna rifiutando tutte le norme della tradiz
Carlo Scarpa. L'arte di esporre - L'arte di esporre
Il nome di Carlo Scarpa (1906-1978) è intrinsecamente legato alla storia dell’arte, al gusto e alla museografia del XX secolo, tanto che negli anni settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in tutta Europa». Ancora oggi occupa un posto d’onore nel pantheon di quanti – nonostante le forti resistenze e il provincialismo diffusi all’epoca – hanno rivoluzionato i musei nel dopoguerra trasformandoli in avamposti dell’avanguardia.Dopo il successo clamoroso dell’impianto concepito per ospitare l’opera di Paul Klee alla Biennale del 1948 se ne succedono molti altri, in rapida sequenza. Le mostre monografiche di Piet Mondrian e di Marcel Duchamp, le collaborazioni con Lucio Fontana e Arturo Martini e gli interventi su numerosi monumenti storici tracciano il percorso di un architetto originale che ha saputo svecchiare il modo di esporre imponendo un modello che, con libertà quasi insolente e incomparabile poesia, si affranca dalla magniloquenza dei luoghi preesistenti favorendo uno stile spoglio e leggero. La sua carriera abbonda di leggendarie soluzioni trovate in situ, sempre nell’urgenza e nonostante una grande parsimonia di mezzi, in simbiosi con la maestria degli artigiani che lo circondano.Come orientarsi fra la moltitudine di mostre e di musei di cui Carlo Scarpa è, in toto o in parte, l’autore Philippe Duboÿ, che ha collaborato con lui e ha avuto accesso ai numerosi archivi, è la guida ideale per introdurci alla comprensione delle piante, dei rilievi, degli schizzi, delle fotografie che arricchiscono il dossier di ogni opera scarpiana. Per questo volume, pensato secondo il principio del sincronismo tra immagine e parola caro a Le Corbusier, ha raccolto anche i rari testi autografi di Carlo Scarpa. L’autore ci svela il personale dialogo che questa grande figura della cultura europea ha intrattenuto con l’opera d’arte.
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Carlo Scarpa. L'arte di esporre

L'arte di esporre

Philippe Duboÿ

pagine: 268 pagine

Il nome di Carlo Scarpa (1906-1978) è intrinsecamente legato alla storia dell’arte, al gusto e alla museografia del XX secolo, tanto che negli anni settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in
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Carlo Scarpa. L'arte di esporre - L'arte di esporre
Il nome di Carlo Scarpa (1906-1978) è intrinsecamente legato alla storia dell’arte, al gusto e alla museografia del XX secolo, tanto che negli anni settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in tutta Europa». Ancora oggi occupa un posto d’onore nel pantheon di quanti – nonostante le forti resistenze e il provincialismo diffusi all’epoca – hanno rivoluzionato i musei nel dopoguerra trasformandoli in avamposti dell’avanguardia.Dopo il successo clamoroso dell’impianto concepito per ospitare l’opera di Paul Klee alla Biennale del 1948 se ne succedono molti altri, in rapida sequenza. Le mostre monografiche di Piet Mondrian e di Marcel Duchamp, le collaborazioni con Lucio Fontana e Arturo Martini e gli interventi su numerosi monumenti storici tracciano il percorso di un architetto originale che ha saputo svecchiare il modo di esporre imponendo un modello che, con libertà quasi insolente e incomparabile poesia, si affranca dalla magniloquenza dei luoghi preesistenti favorendo uno stile spoglio e leggero. La sua carriera abbonda di leggendarie soluzioni trovate in situ, sempre nell’urgenza e nonostante una grande parsimonia di mezzi, in simbiosi con la maestria degli artigiani che lo circondano.Come orientarsi fra la moltitudine di mostre e di musei di cui Carlo Scarpa è, in toto o in parte, l’autore Philippe Duboÿ, che ha collaborato con lui e ha avuto accesso ai numerosi archivi, è la guida ideale per introdurci alla comprensione delle piante, dei rilievi, degli schizzi, delle fotografie che arricchiscono il dossier di ogni opera scarpiana. Per questo volume, pensato secondo il principio del sincronismo tra immagine e parola caro a Le Corbusier, ha raccolto anche i rari testi autografi di Carlo Scarpa. L’autore ci svela il personale dialogo che questa grande figura della cultura europea ha intrattenuto con l’opera d’arte.
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Carlo Scarpa. L'arte di esporre

L'arte di esporre

Philippe Duboÿ

pagine: 268 pagine

Il nome di Carlo Scarpa (1906-1978) è intrinsecamente legato alla storia dell’arte, al gusto e alla museografia del XX secolo, tanto che negli anni settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in
Cacciatori d'arte - I mercanti di ieri e di oggi
Visionari, uomini d’affari, spericolati avventurieri con il pallino dell’arte e un’infatuazione infantile per il rischio. Stanare i van Gogh di domani è l’ossessione che da sempre spinge i mercanti più intrepidi a battere strade ignote rastrellando studi e scommettendo tutto su pittori incompresi o troppo in anticipo sui tempi. In anni recenti, tuttavia, la truffa dei falsi che ha mandato alla rovina una delle più rispettabili gallerie newyorkesi, Knoedler, ha messo allo scoperto il marcio di una professione che può presto degenerare in becera speculazione.Yann Kerlau narra la folgorante ascesa e le alterne vicende di alcuni fra i più celebri cacciatori di artisti dall’Ottocento ai giorni nostri: dal primo fervido sostenitore degli impressionisti, Théodore Duret, fautore di quel giapponismo cui Gauguin, van Gogh e Monet saranno tanto debitori, a Paul Durand-Ruel, che poco dopo spalanca ai “rifiutati” le porte del mercato americano; da un fuoriclasse nella tattica delle vendite come l’indolente Ambroise Vollard, allo scaltro Daniel-Henry Kahnweiler, divenuto il mercante di Picasso nonostante un esordio poco promettente, fino all’eccentrica Peggy Guggenheim, l’ereditiera americana che con l’aiuto di consiglieri d’eccellenza scova gli artisti più all’avanguardia per la sua galleria newyorkese. Giunti ormai ai giorni nostri, è il turno di un pubblicitario consumato come Charles Saatchi, approdato all’olimpo dell’arte elevando l’artista a marchio di fabbrica, e di un cinico self-made man come Larry Gagosian, che con un occhio ai conti bancari e l’altro alle sale d’asta conduce i purosangue della sua scuderia alla conquista di un impero multinazionale. Sette ritratti a tutto tondo, ognuno a suo modo specchio della propria epoca. Altrettante varianti su un mestiere praticato con il fiuto necessario alla ricerca non più del bello, ma di quella gemma rara che si cela in ogni opera d’arte. Un’epopea strabiliante in cui eccessi, ardori e follie dei protagonisti tingono il racconto di una dimensione eroica e romanzesca.
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Cacciatori d'arte

I mercanti di ieri e di oggi

Yann Kerlau

pagine: 250 pagine

Visionari, uomini d’affari, spericolati avventurieri con il pallino dell’arte e un’infatuazione infantile per il rischio. Stanare i van Gogh di domani è l’ossessione che da sempre spinge i mercanti più intrepidi a battere strade ignote rastrellando studi e scommettendo tutto su pittori incompresi o troppo in anticipo sui tempi. In
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Cacciatori d'arte - I mercanti di ieri e di oggi
Visionari, uomini d’affari, spericolati avventurieri con il pallino dell’arte e un’infatuazione infantile per il rischio. Stanare i van Gogh di domani è l’ossessione che da sempre spinge i mercanti più intrepidi a battere strade ignote rastrellando studi e scommettendo tutto su pittori incompresi o troppo in anticipo sui tempi. In anni recenti, tuttavia, la truffa dei falsi che ha mandato alla rovina una delle più rispettabili gallerie newyorkesi, Knoedler, ha messo allo scoperto il marcio di una professione che può presto degenerare in becera speculazione.Yann Kerlau narra la folgorante ascesa e le alterne vicende di alcuni fra i più celebri cacciatori di artisti dall’Ottocento ai giorni nostri: dal primo fervido sostenitore degli impressionisti, Théodore Duret, fautore di quel giapponismo cui Gauguin, van Gogh e Monet saranno tanto debitori, a Paul Durand-Ruel, che poco dopo spalanca ai “rifiutati” le porte del mercato americano; da un fuoriclasse nella tattica delle vendite come l’indolente Ambroise Vollard, allo scaltro Daniel-Henry Kahnweiler, divenuto il mercante di Picasso nonostante un esordio poco promettente, fino all’eccentrica Peggy Guggenheim, l’ereditiera americana che con l’aiuto di consiglieri d’eccellenza scova gli artisti più all’avanguardia per la sua galleria newyorkese. Giunti ormai ai giorni nostri, è il turno di un pubblicitario consumato come Charles Saatchi, approdato all’olimpo dell’arte elevando l’artista a marchio di fabbrica, e di un cinico self-made man come Larry Gagosian, che con un occhio ai conti bancari e l’altro alle sale d’asta conduce i purosangue della sua scuderia alla conquista di un impero multinazionale. Sette ritratti a tutto tondo, ognuno a suo modo specchio della propria epoca. Altrettante varianti su un mestiere praticato con il fiuto necessario alla ricerca non più del bello, ma di quella gemma rara che si cela in ogni opera d’arte. Un’epopea strabiliante in cui eccessi, ardori e follie dei protagonisti tingono il racconto di una dimensione eroica e romanzesca.
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Cacciatori d'arte

I mercanti di ieri e di oggi

Yann Kerlau

pagine: 250 pagine

Visionari, uomini d’affari, spericolati avventurieri con il pallino dell’arte e un’infatuazione infantile per il rischio. Stanare i van Gogh di domani è l’ossessione che da sempre spinge i mercanti più intrepidi a battere strade ignote rastrellando studi e scommettendo tutto su pittori incompresi o troppo in anticipo sui tempi. In
I primitivi traditi - L'arte dei "selvaggi" e la presunzione occidentale
Di che cosa parliamo quando parliamo di “arte primitiva”? Quali parametri usiamo per definire e valutare manufatti che, un po’ come gli africani durante la tratta degli schiavi, sono stati catturati, strappati via dal loro tessuto socio-culturale di origine, trapiantati in terre ignote e riproposti in nuovi contesti per soddisfare le esigenze economiche, ideologiche e culturali di un’élite colta?Sally Price attinge a una straordinaria varietà di fonti ‒ la pubblicità della moda e i film, l’antropologia e i fumetti ‒ per guidarci in un’indagine attorno all’arte tribale e ai malintesi che la accompagnano in Occidente, dove l’osservatore “civilizzato” si accosta alle culture remote per mezzo di una fitta rete di preconcetti, convinto, il più delle volte, che i loro prodotti siano l’esito di pulsioni irrazionali sorrette da riti religiosi e dinamiche sociali a lui estranei. L’antica contrapposizione tra oggetto etnografico e opera d’arte ‒ insieme a quella tra selvaggio e civile ‒ viene qui gettata alle ortiche man mano che si fa luce sull’oscurità che avvolge gli artisti primitivi, fino a invalidare l’idea corrente che questi operino nell’anonimato mentre il culto dell’espressione individuale sarebbe appannaggio esclusivo dei “nostri” artisti. Equivoco, quest’ultimo, che ha contribuito a ratificare il processo di disumanizzazione dell’arte primitiva: ovvero il completo disconoscimento dell’ambiente intellettuale dal quale tali oggetti provengono.Attraverso interviste a conservatori di musei, etnologi, collezionisti privati e proficue incursioni nel mondo dei mercanti d’arte, l’autrice mira a demolire in via definitiva l’edificio antropologico tradizionale e i suoi schemi interpretativi. Schemi che stanno alla radice non solo della persistente incomprensione delle creazioni tribali, ma anche di una lunga negligenza nel descrivere in maniera adeguata le società stesse e il loro patrimonio culturale.
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I primitivi traditi

L'arte dei "selvaggi" e la presunzione occidentale

Sally Price

pagine: 192 pagine

Di che cosa parliamo quando parliamo di “arte primitiva”? Quali parametri usiamo per definire e valutare manufatti che, un po’ come gli africani durante la tratta degli schiavi, sono stati catturati, strappati via dal loro tessuto socio-culturale di origine, trapiantati in terre ignote e riproposti in nuovi contesti per soddisfare le esigenze
L'arte non evolve - L'universo immobile di Gino De Dominicis
Priva di radici accertabili, sganciata dalla sequenzialità di un prima e un dopo, l’opera d’arte abbatte le barriere del tempo e ci proietta in uno spazio estraneo al progresso. Che l’arte non evolva, cioè non proceda per via di un lineare sviluppo temporale ma sia invece capace di introdurre novità di cui non c’era sentore in precedenza, è la tesi di questo saggio sulla poetica dell’immortalità in Gino De Dominicis. Un’indagine su un mistero – quello della creazione ex nihilo – e una meditazione sull’origine di tutte le cose.Guercio prende le mosse dal lavoro più emblematico e controverso dell’artista, la Seconda soluzione d’immortalità (l’universo è immobile), esposto nel 1972 alla Biennale di Venezia in una sala che è la summa delle riflessioni di De Dominicis e che viene subito chiusa al pubblico per lo scalpore che desta. Motivo dello scandalo e la presenza di un giovane veneziano affetto dalla sindrome di Down. Posto davanti a tre oggetti sul pavimento ‒ una pietra, una palla di gomma e il perimetro di un quadrato bianco ‒ Paolo Rosa non rappresenta una mera provocazione come pensano i più reazionari, ma è il fulcro attorno al quale si dispongono gli altri elementi, la chiave di tutto l’insieme. Grazie alle molteplici dinamiche che questa figura innesca, l’artista conferisce all’opera una facoltà senza precedenti: aprire una breccia nell’eternità.È possibile ricavare dalla Seconda soluzione di De Dominicis un paradigma di immortalità che funzioni oltre il sistema chiuso della sua opera? Possiamo cioè stabilire un legame fra la creazione artistica in senso più ampio e la ricerca dell’immortalità? Questo interrogativo, posto in apertura del saggio, fa presa sul lettore, trascinandolo in una ricognizione completa delle tematiche dell’artista e mettendo in luce quelle che possono avanzare una pretesa di contemporaneità sull’epoca presente, quali il primato dell’immagine sulla parola e la forza della discontinuità di fronte a una proliferazione virale di connessioni.
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L'arte non evolve

L'universo immobile di Gino De Dominicis

Gabriele Guercio

pagine: 128 pagine

Priva di radici accertabili, sganciata dalla sequenzialità di un prima e un dopo, l’opera d’arte abbatte le barriere del tempo e ci proietta in uno spazio estraneo al progresso. Che l’arte non evolva, cioè non proceda per via di un lineare sviluppo temporale ma sia invece capace di introdurre novità di cui non c’era sentore in precedenza

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